Salis a Meloni: «Trasferitemi in ambasciata»
Il caso L’antifascista italiana da Budapest rilancia l’idea (impossibile) suggerita da La Russa: sicurezza in pericolo per le minacce neonaziste. In caso di elezione a Strasburgo scatterebbe l’immunità parlamentare
Il caso L’antifascista italiana da Budapest rilancia l’idea (impossibile) suggerita da La Russa: sicurezza in pericolo per le minacce neonaziste. In caso di elezione a Strasburgo scatterebbe l’immunità parlamentare
Ècon una lettera indirizzata alla premier Giorgia Meloni, al suo vice Antonio Tajani e ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi che Ilaria Salis nella giornata di ieri ha formalmente chiesto il proprio trasferimento nell’ambasciata italiana di Budapest per poter scontare lì i suoi arresti domiciliari. Alla base di questo appello ci sono motivi di sicurezza abbastanza palesi: lo scorso 24 maggio, durante l’ultima udienza del suo processo, infatti, il giudice Joseph Sos aveva incautamente rivelato l’indirizzo ungherese dell’antifascista italiana mentre in aula erano presenti tra gli altri alcuni militanti neonazisti, che hanno fatto poi arrivare l’informazione a un sito di estrema destra. Che nel giro di pochi giorni ha pubblicato tutto, nella consapevolezza di star facendo «una cosina gradita» per i suoi lettori. Da qui la paura di ricevere visite spiacevoli: Salis è prigioniera in Ungheria da un anno e mezzo con l’accusa di aver partecipato all’aggressione di alcuni neonazisti, che da allora le hanno giurato vendetta. A febbraio, durante il periodo del Giorno dell’onore (quando a Budapest si riuniscono estremisti di destra provenienti da tutta l’Europa per celebrare la memoria delle SS) su un muro della capitale ungherese è stato ritrovato un murales con l’immagine dell’italiana impiccata, tanto per chiarire qual è il clima che circonda la vicenda nel paese.
L’IDEA DEL TRASFERIMENTO in ambasciata, comunque, non è nuova e il primo ad averla pensata fu, qualche mese fa, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che durante un incontro, prospettò questa strada a Roberto Salis, il padre di Ilaria. L’operazione è in realtà impossibile, come ha chiarito a più riprese l’ambasciatore Manuel Jacoangeli, perché portare la donna nella sede diplomatica italiana equivarrebbe a rimpatriarla. Il problema, in ogni caso, esiste: lo stesso Jacoangeli, del resto, subito dopo la rivelazione del giudice Sos aveva prodotto una nota per segnalare la gravità di quanto accaduto. Parole che, come spesso accaduto, sono cadute nell’indifferenza: ogni sforzo diplomatico, di fatto, si è rivelato sin qui vano e la concessione dei domiciliari a Salis è arrivata solo per effetto della sua candidatura alle elezioni europee con l’Alleanza Verdi Sinistra. Il governo italiano, prima di allora, si era esposto soprattutto attraverso i suggerimenti di Nordio e Tajani, che avevano appunto fatto pressioni perché Ilaria Salis chiedesse i domiciliari in Ungheria. All’udienza in cui venne discussa l’ipotesi, il 28 marzo, però il giudice si era opposto, sostenendo tra le altre cose che «quattordici mesi di carcere non sono poi tanti» visti i reati di cui si parla (lesioni potenzialmente mortali, nonostante gli aggrediti abbiano riportato lesioni guaribili nel giro di appena una settimana o poco più). È stato la corte d’appello, poi, ad accogliere il ricorso dei legali di Salis e a permetterle di lasciare il carcere, previo pagamento di una cauzione da 41.000 euro e installlazione di una cavigliera elettronica. Tra la prima sentenza sfavorevole e l’accoglimento del ricorso, a livello giudiziario, niente è cambiato e l’unica novità è stata rappresentata proprio dalla candidatura.
SE QUESTO WEEKEND Ilaria Salis venisse eletta a Strasburgo, per lei scatterebbe l’immunità parlamentare e dovrebbe poter lasciare l’Ungheria. A quel punto il caso giudiziario entrerebbe in una situazione di stallo: Budapest potrebbe chiedere l’autorizzazione a procedere (che dovrà essere votata) e poi spiccare un mandato d’arresto europeo che verrà vagliato dalla giustizia italiana. Una richiesta simile era stata inviata dalle autorità magiare a novembre del 2023 per Gabriele Marchesi – accusato degli stessi reati di Salis – ma la Corte d’appello di Milano, alla fine di marzo, ha infine deciso di negarne la consegna, paventando tra le altre cose il rischio di trattamenti degradanti nel carcere di Budapest. Un precedente piuttosto eloquente.
«ABBIAMO CAPITO che questo è un processo politico, totalmente strumentale per cui bisogna semplicemente liberare Ilaria da questa ingiustizia che sta subendo», ha detto durante una visita a Bologna Roberto Salis, che da settimane sta girando l’Italia per fare campagna elettorale alla figlia. «Ilaria però ovviamente vuole dimostrare la sua innocenza, per cui credo che bisognerà trovare il modo di spostare il processo o in Italia o in Germania in modo tale che possa dimostrare appieno la sua totale estraneità ai fatti», ha proseguito il signor Salis, chiarendo una volta di più che il caso di Ilaria non è tanto giudiziario quanto politico. E riguarda un paese, l’Ungheria, che da più parti è sospettato di non avere lo stato di diritto tra le sue priorità esistenziali.
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