È arrivata attraverso l’agenzia russa Interfax la risposta del Cremlino – con le parole del viceministro degli Esteri Andrei Rudenko – all’appello di ieri del capo del World Food Programme David Beasley a Putin («Se hai un cuore, ti prego di riaprire i porti» ucraini) e all’impegno dichiarato dal segretario Onu Guterres per trattare l’apertura di corridoi alimentari che consentano al grano di lasciare l’Ucraina.

«Non dovete appellarvi solo alla Federazione russa, ma guardare al complesso delle ragioni che hanno creato l’attuale crisi alimentare: in primo luogo le sanzioni che sono state imposte alla Russia da Usa e Ue», ha detto Rudenko. In poche parole, senza che vengano rimosse le sanzioni, i porti ucraini sul Mar Nero rimarranno bloccati, nonostante la catastrofe prospettata mercoledì da Guterres al summit delle Nazioni unite a New York: «Il prezzo del cibo in tutto il mondo è aumentato di circa un terzo, quello dei fertilizzanti di oltre la metà e quello dell’olio di quasi due terzi».

Rincaro vertiginoso che colpisce specialmente i paesi più poveri: «La maggior parte dei paesi in via di sviluppo non ha le risorse economiche per attutire il colpo, in tanti non possono chiedere prestiti perché per loro i mercati sono chiusi. E a quelli che possono farlo vengono addebitati alti tassi d’interesse che li mettono a rischio di una crisi del debito e di default».

Fra riscaldamento globale, pandemia, e ora la guerra, «in soli due anni il numero di persone che vivono nell’insicurezza alimentare è raddoppiato», e questa catastrofe «non può risolversi senza reintegrare la produzione di cibo ucraina, così come quella dei fertilizzanti russi e bielorussi, nei mercati globali». Non riaprire i porti ucraini, ha aggiunto Beasley, sarebbe «una dichiarazione di guerra» alla sicurezza alimentare globale e porterebbe a «carestie, destabilizzazioni politiche e migrazioni di massa».

Già l’11 marzo uno studio di Arab Reforme indicava le nazioni più colpite dalla crisi alimentare scatenata dalla guerra fra i due paesi che insieme producono un terzo del grano e dell’orzo globali: Libano e Sudan – che secondo le stime importano oltre il 90% del proprio fabbisogno di cereali da Russia e Ucraina – Egitto (circa l’85%) e Tunisia (oltre il 50%).

È però fuori discussione per ora un qualunque allentamento delle sanzioni, che invece si moltiplicano: in attesa dell’accordo Ue sul sesto pacchetto, ieri il Regno unito ha proibito alle compagnie aeree russe di vendere i propri slot di atterraggio inutilizzati agli aeroporti britannici.