Il giorno dopo un botto che avrà conseguenze devastanti (la rottura del patto tra dem, Azione e +Europa), Enrico Letta e Carlo Calenda si rimpallano l’accusa di averlo provocato. Laconico il segretario del Pd, quello che è oggi più nei guai di tutti: «Chi vota per lui vota per Giorgia Meloni». Fluviale il centrista, che bombarda a colpi di tweet e interviste e non risparmia neppure l’ex compagna di lista, Emma Bonino: «Il Pd ha fatto prima un patto con noi e poi con chi alla fine della fiera in fondo è comunista. Letta e Bonino sapevano che avrei rotto ma pensavano che non lo avrei fatto per le firme e Bonino ha sempre negoziato dalla parte del Pd». E in serata in televisione rincara: «Ho 50 messaggi che dimostrano che Letta era consapevole che avrei rotto se avesse firmato un patto anche con Fratoianni e Bonelli». Stracci che volano, continueranno a volare e non può che essere così.

IN REALTÀ, NELLA SOSTANZA il leader del Pd si è attenuto fedelmente all’accordo stretto una settimana fa con Azione e +Europa. Il problema sono state le forme, che in una campagna elettorale pesano. Calenda aveva chiesto che l’intesa «tecnica» con Europa Verde fosse quasi nascosta, contrabbandata come mero espediente. Senza telecamere, strette di mano pubbliche, conferenze stampa. Senza patti neppure «in difesa della Costituzione». In caso contrario temeva che si sarebbe preclusa ogni possibilità di raccogliere voti nell’elettorato di destra. Ma Sinistra italiana e Verdi non potevano accettare la parte dell’ospite sgradito e mal tollerato, del quale ci si vergogna. L’accordo era impossibile e infatti non ha retto neppure 24 ore.

LA DEFLAGRAZIONE crea problemi a tutte le parti in causa, salvo Ev che festeggia e ne ha tutti i motivi perché, con Calenda e compagnia centrista al fianco, superare la soglia del 3% sarebbe stato difficilissimo mentre l’abbandono di Carlo riapre almeno quella possibilità. Per Letta, invece, il conto è terrificante. Senza Calenda la battaglia nei collegi uninominali è praticamente impossibile. Per il campo strettissimo di Letta conquistare anche solo 15 seggi uninominali alla Camera sarebbe oggi un successo quasi insperato. Salvo miracoli, e ce ne vorrebbe uno grosso, nel prossimo Parlamento la superiorità della destra sarà schiacciante, comunque sproporzionata ai rapporti di forza reali nel Paese. Con una penuria simile anche garantire seggi davvero blindati agli alleati, come Luigi Di Maio che caduto il veto di Calenda resterà nella lista col suo nome, o come Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, anche loro liberi ora dai veti, sarà un’impresa. Dovranno sudarseli.

PER CALENDA il problema sono quelle firme sulle quali, secondo la sua versione, contavano Letta e Bonino per ridurlo a miti consigli. +Europa resterà con il Pd lasciando così scoperto il centrista. Per correre da solo dovrebbe trovare 36mila firme entro il 21 di questo mese, impresa proibitiva in pieno agosto. Ma il leader di Azione è convinto di aver aggirato l’ostacolo grazie alla sua elezione al parlamento europeo, proprio oggi gli sarebbe arrivata la conferma che nel suo caso le firme non sono necessarie. Oppure si può sempre cercare qualcuno detentore di un simbolo, come ad esempio il socialista Nencini con il quale qualche contatto ci sarebbe già stato. Oppure può dare vita a una lista comune con Matteo Renzi, al quale l’idea piacerebbe assai perché gli permetterebbe di risolvere il problema dell’ostilità personale che, a torto o a ragione, si appunta su di lui. Una scelta ancora non è stata fatta ma i due leader, molto simili politicamente ma difficilmente compatibili per la comune tendenza al comando solitario, dovranno sciogliere il nodo rapidamente: in base alla comunicazione del Viminale, i simboli vanno presentati entro il 14 agosto.

SIA CHE I DUE arrivino alle urne come partiti divisi e coalizzati, sia che invece si compattino in una lista unica, il 25 settembre scioglierà l’enigma del leggendario centro dimostrando se esiste davvero, su quale forza può contare, con quali possibilità di allargarsi calamitando dopo le elezioni aree del centrodestra, a partire dalla formazione di Giovanni Toti, che è stata la più esitante e dubbiosa nell’aderire alla coalizione di centrodestra. Ma quale che sia il risultato del centro, non cambierà di molto la geografia di un prossimo Parlamento nel quale Giorgia Meloni, che i sondaggi interni alla destra accreditano del 30% contro il 10% della Lega e il 7% di Fi, detterà legge.