Roma scende di nuovo in piazza per la Palestina e contro la guerra
La manifestazione Oltre cinquemila persone in piazza una settimana dopo i divieti e i tafferugli. Yousef Salman (Comunità palestinese): «Dispiace che non ci sia la Comunità ebraica di Roma, a differenza di altre comunità come quella inglese o americana, per dire no alla guerra»
La manifestazione Oltre cinquemila persone in piazza una settimana dopo i divieti e i tafferugli. Yousef Salman (Comunità palestinese): «Dispiace che non ci sia la Comunità ebraica di Roma, a differenza di altre comunità come quella inglese o americana, per dire no alla guerra»
«Speriamo che non succeda niente…». Così risponde il poliziotto alla barista del chiosco al centro di piazzale Ostiense, a Roma, che gli chiedeva cosa dovesse aspettarsi dal corteo della Comunità palestinese in programma di lì a breve. Non sono nemmeno le 14, il traffico scorre regolare, di manifestanti ancora non se ne vedono e l’uomo in divisa ha un tono forse troppo allarmato. «Il caffè mi agita», aggiunge mentre ordina una Lemon soda (che non c’è).
Quando un’ora e mezzo dopo questa scena qualche migliaio di persone si è ormai ammucchiato, gli automobilisti continuano a correre tra la piramide e le torri di porta San Paolo. Qualcuno, non del tutto a torto, si innervosisce perché i vigili urbani, pure presenti, non stanno fermando il traffico per permettere alla massa di congiungersi con la testa del corteo, circondata dal servizio d’ordine in pettorina fluo, tra i metri quadrati di bandierona della Palestina messa in orizzontale e il furgone da cui Maya Issa dei Giovani palestinesi lancia i cori di sempre: contro Israele, contro Netanyahu, contro Meloni, contro la Nato. Nessun accenno, né nel bene né nel male alla strage del 7 ottobre 2023, se si esclude una pittoresca signora avvolta in un drappo tunisino che inneggia in solitaria ai «massacri di Hamas» e dice che «i figli della Meloni sono tutti drogati sotto i ponti». I cronisti la notano tutti, il resto del mondo non sembra farci troppo caso.
Mentre su viale Aventino il corteo si allunga, le cinquemila persone contate dalla questura sembrano pure di più. La sosta quasi obbligatoria davanti al palazzo della Fao scorre via serena, anche perché tutte le bandiere all’esterno dell’edificio sono state rimosse e, anche volendo, non si può replicare la scena dell’anno scorso, quando quella israeliana venne sfilata dal suo pennone tra l’entusiasmo dei presenti.
Gli spezzoni in tutto questo marciano a qualche metro di distanza gli uni dagli altri, tra collettivi studenteschi, Potere al popolo, l’Arci e, in coda, Rifondazione comunista. Il segretario Maurizio Acerbo offre uno spunto politico: «Noi ci siamo, ma purtroppo ancora una volta non si vede il campo largo. Cosa si aspetta a prendere posizioni nette e chiare come un tempo faceva la sinistra italiana quando aveva la Palestina nel cuore?». Altri tempi, si dirà, e molto probabilmente pure altre tempre, fatto sta che Pd, M5s e Avs non si sono palesati.
Il presidente della Comunità palestinese Yousef Salman, in completo marrone, stringe mani e regala sorrisi. Sabato scorso, alla manifestazione non autorizzata poi finita con qualche tafferuglio, non c’era: appena la questura ha imposto il suo divieto, senza colpo ferire, ha chiamato un’altra piazza. E gran parte di chi c’era sette giorni fa è tornato senza porsi problemi di piattaforme e linee politiche. Che tutto sia andato bene, senza scontri e senza tensioni di alcun genere, è la migliore dimostrazione che se non ci fossero stati gli allarmismi del ministro Piantedosi e il diniego del corteo da parte della polizia, anche il famigerato 5 ottobre tutto sarebbe filato liscio. Del resto nell’ultimo anno nessuna manifestazione pro Pal è stata un vero e proprio problema di ordine pubblico. Restano i contenuti delle piazze, cioè il dolore e la rabbia per quello che sta accadendo in Medio Oriente, dove Israele continua a mettere a ferro e fuoco Gaza, mentre guerreggia pure in Libano e si appresta (forse) a fare lo stesso anche in Iran.
«Israele non rispetta la legalità internazionale – dice Salman -, mi spiace che non ci sia la Comunità ebraica di Roma, a differenza di altre comunità come quella inglese o americana, per dire no alla guerra».
E quando in via Merulana, a poche centinaia di metri da piazza Vittorio Emanuele dove è fissato il traguardo del corteo, si aggiunge l’Anpi con le sue bandiere della pace, tra la folla c’è chi rumoreggia. «Il prossimo 25 aprile saremo a piazzale Ostiense per impedire che la Comunità ebraica stia lì, perché quella piazza è nostra», grida un giovane. Il riferimento è all’ultima festa della Liberazione durante la quale la Comunità ebraica si è presentata a porta San Paolo accompagnata da un drappello di energumeni che si sono prodotti in insulti, minacce, lancio di oggetti vari (tra cui barattoli di cibo a richiamare la fame che si patisce a Gaza) e di petardi contro i filopalestinesi. «Noi non vogliamo le bandiere della pace – ha detto ancora il giovane -, noi non vogliamo la pace, vogliamo la libertà».
Dettagli. Il punto è che, divieti o no, per la seconda settimana consecutiva Roma manifesta per la Palestina. E nessuno sembra intenzionato a finirla qui.
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