Europa

Rogo nel campo di Samos. Mentre la Grecia teme il ricatto turco

Rogo nel campo di Samos. Mentre la Grecia teme il ricatto turcoL’incendio nell’hot spot di Vathy, a Samos – Ap

Immigrazione 600 profughi evacuati dall’hot spot di Vathy, sovraffollato, senza acqua e servizi igenici. Sulle isole del Paese sono circa 32mila i migranti e gli arrivi sono in aumento. Allarme per la minaccia di Erdogan: «Apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati» -

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 16 ottobre 2019

Un altro rogo. Siamo a Samos, un’altra isola greca, dove la notte di martedì si è sprigionato un immenso incendio nel campo di Vathy. Sono passate solo due settimane da quello di Moria a Lesbo, dove persero la vita una donna e un bambino.

Sembrerebbe, secondo alcune fonti locali, che attorno alle 19 sia scoppiata rissa tra un gruppo di afghani e siriani nel centro della città. Poco più tardi la lite si è trasferita al campo profughi creando una serie di scontri all’interno della “giungla” – il campo informale. La polizia ha iniziato a sparare gas lacrimogeni creando la fuga di diverse persone affette da problemi respiratori.

A causare l’incendio sembra sia stata l’esplosione di una bombola di gas. L’incendio si è propagato rapidamente, inghiottendo le tende del campo informale, le baracche, gli uliveti circostanti e una parte del campo formale.

Sono circa 600 le persone evacuate che la scorsa notte hanno trovato rifugio in alcuni edifici dell’isola grazie all’aiuto di alcune ong e della società civile.

L’hot spot di Vathy a Samos è stato pensato per 650 persone ma da circa un anno nel campo sono in 6mila, la metà sono donne e bambini. 300 sono i minori non accompagnati che vivono dentro e fuori dal campo senza alcuna tutela. Circa 5 mila persone sono accampate, fuori dal campo formale in tende o rifugi di fortuna senza accesso regolare a servizi igienici o docce.

«È una vera e propria baraccopoli» denuncia Andrea Contenta, responsabile Affari Umanitari di Medici senza frontiere da Samos – «qui è ancora peggio che a Moria, manca l’acqua potabile e le condizioni igienico sanitarie sono inesistenti con gravi conseguenze e rischi per la salute».

L’ong denuncia anche che il 36% dei loro pazienti a Samos è affetto da sintomi gravi come depressione, disturbi post traumatici e comportamenti autolesionistici, aggravati dall’estrema precarietà in cui vivono.

Msf è operativa sull’isola di Samos dal 2015 e, oltre ad occuparsi della salute mentale, ha attivato un progetto per la distribuzione dell’acqua potabile. Le équipe di Msf forniscono circa 40mila litri d’acqua ogni giorno.

«Non ci troviamo di fronte a una nuova emergenza – commenta Andrea Contenta – quello della scorsa notte è qualcosa che può accadere, ed è già successo in passato, quando le persone sono costrette a vivere in posti disumani dove non vengono rispettati i diritti umani e la dignità delle persone».

Secondo gli ultimi dati ufficiali di ottobre 2019, sono circa 32mila i profughi presenti sulle isole greche distribuiti nei 5 hot spot di Kios, Samos, Lesbos, Kos e Leros. Gli sbarchi nell’ultimo periodo sono aumentati. Secondo l’ultimo rapporto dell’ong norvegese Aegean Board Report, a settembre sono arrivate sulle coste greche circa 10mila persone e sono circa 36mila sbarcate in totale dall’inizio dell’anno.

«Il problema non sono i numeri, bisogna cercare di ragionare sulle cause e avere un piano a lungo termine che risolva la situazione. L’accordo politico di Ankara è un fallimento, le persone sono bloccate sulle isole e questo mette in pericolo loro stesse e la loro salute» commenta Contenta «il sistema di controllo delle frontiere così come è stato pensato non fa altro che legare il diritto alla mobilità, che viene negato, con il diritto alla salute che viene concesso solo ai soggetti più vulnerabili che hanno priorità ad essere trasferiti sulla terraferma, gli altri rimangono bloccati sulle isole. Una logica che nel lungo periodo crea altre vulnerabilità mettendo a rischio la salute delle persone»

Mentre sulle isole greche si cerca di fare fronte alle emergenze e a pensare alle persone, a parlare di numeri ci ha pensato il presidente turco Erdogan che in questi giorni ha avvertito l’Ue: in risposta a chi parlava di «invasione» o «occupazione» della Siria, ha detto «se ci ostacolate apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati siriani e li manderemo da voi».

Concetto ribadito sulle colonne del Wall Street Journal dove ha minacciato ancora una volta l’Europa: «La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento