Roe Wade e gli altri, libertà hollywoodiane
Immaginari La narrazione dell’aborto nel cinema Usa, dove interrompere la gravidanza è rimasto un tabù. La distopia odierna, la radicalità inattesa della fantascienza e la filosofia
Immaginari La narrazione dell’aborto nel cinema Usa, dove interrompere la gravidanza è rimasto un tabù. La distopia odierna, la radicalità inattesa della fantascienza e la filosofia
È bastato veder circolare sui social network il profilo di Elisabeth Moss, in tonaca porpurea e cuffia bianca nello sceneggiato distopico The Handmaid’s Tale, per capire che gli Stati uniti, come annunciato, avevano voltato la pagina del diritto delle donne a decidere del proprio corpo. I film di anticipazione, persino i più pessimisti, sembrano sempre di più documentare il tempo presente, a volte per difetto. Proprio quest’anno, il presente storico raggiunge il futuro annunciato nel poliziesco d’anticipazione 2022: i sopravvissuti (Soylent Green, 1973). L’angosciosa sequenza di apertura di quel film prende le mosse dall’Ottocento, dalla conquista del Far West. Un diaporama avanza lentamente attraverso l’era industriale: i disboscamenti dei coloni, le prime automobili, i ponti di ferro, le acciaierie, le città moderne, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra, la sovrappopolazione… Accelerando mano a mano che ci si avvicina alla catastrofe, il diaporama improvvisamente si ferma: siamo all’oggi, il 2022, la popolazione è di 40 miliardi di abitanti,
le città sono invivibili a causa del riscaldamento globale. L’agricoltura è morta e l’unico cibo disponibile è una galletta chiamata soylent. La catastrofe ecologica è ovviamente anche economica. Ed inevitabilmente politica. E viceversa. Se lo sceneggiato The Handmaid’s Tale è diventato il simbolo della decisione della Corte suprema americana è perché si è diffusa la coscienza che questo episodio politico si iscrive in una più ampia sceneggiatura distopica. Il punto di partenza di Handmaid è in effetti che la sovrastruttura giuridica, politica e normativa collassi insieme alla soggiacente struttura economica, spazzata via dalla crisi ecologica e climatica. E che la rivoluzione che rimpiazza lo Stato di diritto sarà saldamente oligarchica e ultra-conservatrice.
I film non si avventuravano nell’esperienza effettiva dell’aborto ma mostravano comunque il diritto alla scelta, un’epoca chiusa dalla decisione della Corte suprema
PRIMA della recente ondata distopica, il cinema hollywoodiano aveva trattato la questione dell’interruzione di gravidanza in maniera affatto diversa. In La Storia di Ruth, donna americana (Citizen Ruth, 1996) Laura Dern è una tossicodipendente che ama stordirsi con le bombolette spray. In una delle scene più esilaranti, dopo aver convinto il fratello a prestargli qualche dollaro, entra in un negozio di ferramenta e sceglie meticolosamente una bomboletta. Girato l’angolo si accascia a terra e, dopo aver spruzzato la vernice in un sacchetto di carta, ne inala le esalazioni fino a perdere i sensi. Raccolta dalla polizia, scopre di essere incinta. Il giudice, che ha già messo in affidamento i suoi primi quattro figli, le suggerisce di abortire. Una famiglia di
militanti anti-aborto paga la cauzione e trasforma quello di Ruth in un caso nazionale. Ruth finirà poi nelle mani di una coppia di lesbiche militanti del partito opposto. Tirata per la pancia dai due gruppi, che le offrono migliaia di dollari per scegliere chi in un senso chi in un altro, finirà per fuggire con il malloppo.
Citizen Ruth è emblematico di una certa maniera di raccontare la guerra civile tra abortisti e anti-abortisti negli anni post Roe contro Wade. Più recentemente, il film Juno con Ellen Page ne offre una versione più intima, meno satirica, sostanzialmente identica. Né l’uno né l’altro si avventurano nel terreno, troppo crudo, dell’esperienza effettiva dell’aborto. Di fatto, la protagonista non sceglie mai di abortire nel cinema hollywoodiano. Ruth ha un aborto spontaneo, Juno decide di partorire. La sceneggiatura naviga però dentro la cornice creata da Roe contro Wade. Sono tutti film rappresentativi del sentimento diffuso di poter trovare la propria via tra due partiti opposti, perché il diritto alla scelta è comunque evidente. La decisione della Corte suprema americana chiude brutalmente quell’epoca, o riporta indietro nel tempo. Un segno del mutamento: il successo della distribuzione americana del film premiato a Venezia L’Événement, nel quale si descrive appunto la vita di una studentessa in una Francia in cui l’aborto è ancora un reato.
L’ABORTO in quanto tale nel cinema popolare hollywoodiano è del resto tabù. Ad averlo trattato in maniera radicale è paradossalmente la fantascienza. Per capire in che modo, bisogna partire da come la cultura americana, proprio negli anni di Roe contro Wade, abbia posto filosoficamente il problema. Nel saggio A Defense of Abortion, la filosofa Judith Jarvis Thomson argomenta che, anche ammettendo che il feto sia una persona, l’autonomia della donna sul proprio corpo ha la priorità. Per provare la propria teoria, propone un’esperienza di pensiero. Immaginate di essere stati rapiti dalla Società degli amanti della musica che ha poi connesso i vostri reni al corpo di un famoso violinista, affetto da nefropatia. Il corpo del violinista impiegherà nove mesi per guarire, durante i quali avrà bisogno di rimanere connesso ai vostri reni in ogni momento. Commettereste un atto moralmente sbagliato se decideste di disconettervi dal violinista, sapendo che così facendo ne provocherete la morte? Thompson pensa di no. Eco di questo argomento si trova in gran parte della fantascienza rinata alla fine degli anni Settanta. In particolare, la saga Alien ha progressivamente dato corpo a delle varianti di quest’esperienza di pensiero. Fatta astrazione dall’ambientazione spaziale e fantastica, l’azione del primo episodio descrive la condizione di un gruppo di persone il cui corpo viene utilizzato come un veicolo per far vivere un altro essere. È interessante che la prima vittima della saga non sia una donna ma un uomo. Il seguito di Alien espliciterà il legame tra l’alieno e la maternità, allontanandosi al tempo stesso dalla radicalità dell’esperienza di pensiero della Thompson, che appunto ha come obiettivo di fare astrazione dal sesso del soggetto.
I film americani degli ultimi cinquant’anni sono quasi senza eccezione espressione della controcultura liberal. Dietro di essi, si celava il lavorio della reazione ultra-conservatrice che, pur non scrivendo sceneggiature per Hollywood, è riuscita a coltivare pazientemente i semi di un’egemonia culturale di cui oggi raccoglie i frutti.
Oltre ai film evocati nell’articolo, qualche titolo nel cinema europeo: «Une affaire de femmes» di Claude Chabrol (1988) sul caso di Marie-Louise Giraud, l’ultima donna condannata a morte in Francia, sotto il regime di Vichy, per aver praticato degli aborti; «4 mesi, 3 settimane due giorni» di Cristian Mungio (2007) In Romania, poco prima della fine del regime di Ceausescu, un uomo ricatta sessualmente due donne una delle quali, vittima di una gravidanza indesiderata, cerca di farsi praticare un aborto clandestino; «La Maman et la putain»: nel capolavoro di Jean Eustache del 1972, Alexandre (Jean Pierre Leaud) racconta in un lungo monologo l’aborto della sua ex Gilberte.
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