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Robert Coover, miti decostruiti per svelare la violenza della democrazia

Robert Coover, miti decostruiti per svelare la violenza della democraziaRobert Coover (foto AP)

Addii letterari Nel suo coltissimo pastiche, lo scrittore americano, morto il 5 ottobre 2024, ingloba «le storie migliori con le quali ri-formare la nostra nozione di realtà»

Pubblicato circa 7 ore faEdizione del 13 ottobre 2024

Per la letteratura americana, il 2024 è stato segnato da due perdite eccellenti, alle quali è stato dato, in Italia ma anche negli Stati Uniti, un risalto decisamente non all’altezza: a pochi mesi l’uno dall’altro, sono morti John Barth e pochi giorni fa Robert Coover, due tra gli esponenti più rappresentativi e ammirati di una scuola, quella postmoderna, che ha dominato la scena tra gli anni Sessanta e i Settanta del secolo scorso, prima di essere soppiantata dal ritorno a modelli narrativi più tradizionali, sotto la bandiera del cosiddetto «realismo sporco» o del minimalismo.

Quasi coetanei, Barth e Coover hanno vissuto due percorsi sostanzialmente diversi, negli Stati Uniti come in Italia.

Barth, dopo due romanzi – L’opera galleggiante e La fine della strada – intrisi di humour nero e di esistenzialismo, ha avuto il merito di aprire «ufficialmente» la stagione del postmoderno, nel 1960, con Il coltivatore del Maryland (pubblicato originariamente da Rizzoli e di prossima riproposizione per minimum fax), nel quale rinunciava deliberatamente alla prospettiva onnisciente del romanzo storico ottocentesco e rileggeva episodi ormai fissati nell’immaginario collettivo occidentale (uno su tutti: l’incontro con i nativi americani e il mito di Pocahontas), demolendone i miti e le strutture portanti. Era significativa, nella svolta postmoderna di Barth, la volontà di analizzare la società tardo-capitalista e i suoi meccanismi di potere e di consenso attraverso la lente deformante dell’assurdo, della satira estrema, dell’umorismo più nero e irriverente, e di una scrittura metatestuale, nella quale al tentativo «eroico» di cogliere e riprodurre una realtà sempre più complessa e sfuggente, tipico della tarda modernità, subentrava la dimensione del gioco, del riecheggiamento o del pastiche, nel quale è la letteratura tutta intera, nella sua varietà di forme e espressioni, a venire onnivoramente chiamata in causa.

Robert Coover, esordendo più di dieci anni dopo Barth, ha saputo consolidarne e estenderne le conquiste, costruendo soprattutto nei racconti, davvero fulminanti, un gioco raffinatissimo sui modelli letterari e sull’immaginario narrativo. Nelle sue due raccolte più importanti, Pricksongs and Descants (1969, forse la migliore opera di narrativa breve americana tra gli anni Sessanta e i Settanta) e Una serata al cinema (1987) – ora antologizzate in La babysitter e altri racconti (NNE) –, ha saccheggiato con selvaggio e serissimo umorismo, e con una ribalda vena erotica che sconfina nella pornografia più deliberata, alcuni testi di fondazione dell’immaginario americano e occidentale, spaziando con straordinaria disinvoltura dalla fiaba al cinema, da Biancaneve a Casablanca. Attraverso l’arma della parodia ha saputo svelare le strutture profonde del racconto e dimostrarne l’assoluta omogeneità e funzionalità a un modello di società patriarcale e classista.

Un progetto, quello di Coover, che ha trovato nei romanzi scritti a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta – purtroppo inediti o introvabili in Italia – il suo esito naturale. Sono i capisaldi stessi dell’americanismo a venire passati al pettine: dal fondamentalismo religioso, in The Origin of the Brunists (1966) allo sport come metafora del sogno americano, nel Gioco di Henry (1968), al maccartismo come «circo mediatico» nel quale viene prepotentemente a galla il retaggio di violenza sotteso al modello statunitense di democrazia: mai come qui, tra le pagine di The Public Burning, – forse il suo capolavoro, incentrato sul processo e la condanna a morte dei coniugi Rosenberg, nel quale ad assumere su di sé una parte del peso della narrazione è un Richard Nixon buffonesco, tanto più autentico quanto più apparentemente inverosimili sono le sue azioni – il postmoderno mostra quella che forse è la sua vocazione più autentica e duratura: la ricerca di un nuovo corpo a corpo con la storia nel quale, consumata ormai la rinuncia a ogni pretesa veritativa, prevale la lettura critica dei miti che, spesso in modo implicito o deliberatamente nascosto, ne costituiscono l’ossatura.

Coover ha saputo colpire nel segno e conquistare una generazione di critici e di lettori, almeno negli Stati Uniti (in Italia, nonostante i meritevoli tentativi di diversi editori, da Guanda a Feltrinelli, da Fanucci a NNE, la sua notorietà non si è mai consolidata), perché, in un momento di passaggio cruciale da una concezione del romanzo «invecchiata» – e perciò incapace di dare voce e corpo a mutazioni decisive della percezione e della sensibilità – a un’immersione talvolta incontrollata nel colossale calderone creativo espresso dalla sempre più dominante cultura di massa, ha inventato una scrittura polifonica, che sa coniugare la grande tradizione delle origini (da Cervantes a Defoe) e i gerghi viscerali della pornografia, lo sguardo cinematografico, fumettistico, televisivo e la divagazione saggistica di stampo quasi illuminista.

Nel coltissimo pastiche di Coover, dei modelli settecenteschi viene recuperata la bruta carnalità, il gusto dell’allusione volgare, mentre della pornografia si celebra l’incontro-scontro fra corpi e organi, svincolato da ogni morale, nonché la matrice letteraria, da Sade ai vittoriani. Del fumetto, come del cinema hollywoodiano, Coover esalta la capacità di rifondare una mitologia che sappia percorrere e segnare a fondo il panorama del contemporaneo, attraverso una galleria di tipi e personaggi, di eroi e di eroine, di malvagi e vittime che tornano a muovere le emozioni del lettore come nei romanzi di appendice.

È per questo che nelle sue narrazioni ci si imbatte in Humphrey Bogart/Rick e Ingrid Bergman/Ilsa, in Pinocchio e nella Fata Turchina, nella Bella addormentata nel bosco e nella regina malvagia di Biancaneve (in versione Disney), in San Giuseppe e la Vergine Maria, in Nixon e nello Zio Sam. Accada in opere come Una notte al cinema, Pinocchio in Venice, Briar Rose, La regina morta, Pricksongs and Descants, The Public Burning, o nella superba rilettura di Huckleberry Finn, Huck Finn nel West: in breve, nell’intera produzione di Coover, che ci si presenta come una parata di personaggi prelevati dalla realtà storica, dal cinema, dal mito, dalla fiaba per essere restituiti come figure vivide, ancora aperte a nuovi sviluppi e capaci di accompagnarci verso dimensioni inedite dell’immaginazione.

È attraverso la reinvenzione dei personaggi, quindi, che Coover mette in atto la strategia e il progetto di scrittura enunciato nella «Dedicatoria y prologo» con cui si aprono le «Sette storie esemplari» contenute in Pricksongs and Descants: «Il romanziere utilizza forme mitiche o storiche familiari per contrastare il contenuto di queste stesse forme e per condurre il lettore verso il reale, dalla mistificazione alla chiarezza, dalla magia alla maturità, dal mistero alla rivelazione». Apparentemente semplice, questa breve dichiarazione, contiene in sé il vero e proprio manifesto di un postmodernismo critico, nel quale la consapevolezza di una realtà che sembra coincidere con un immenso patrimonio di forme e di storie già descritte e raccontate rappresenta solo il necessario punto di partenza per una riscoperta e un riscatto.

Coover denuncia un uso strumentale delle storie, l’imposizione di un contenuto che le fissa nel tempo e le raggela, e intende esaltare l’infinita libertà individuale che ognuno di noi dovrebbe avere nel mettersi in rapporto con qualsiasi narrazione, potere, ordine costituito, sistema di pensiero che voglia imporsi come presenza universale e assoluta e così regolare il flusso della nostra vita. Evitando la tipica impasse postmoderna secondo la quale è impossibile sottrarci al quadro di riferimento che il mito e la storia ci impongono, Coover suggerisce una feconda immersione nei singoli miti e storie, per studiarli, rileggerli e riscriverli radicalmente grazie alla forza dell’immaginazione.

Come ha dichiarato in un’intervista, il compito del romanziere, la sua responsabilità verso il lettore, consiste nel «fornire storie migliori con le quali si possa ri-formare la nostra nozione della realtà».

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