Cultura

Rivoluzione e comunità nell’esperienza afroamericana

Rivoluzione e comunità nell’esperienza afroamericanaIl co-fondatore del Black Panther Party Huey P. Newton alza il pugno alla convenzione del Revolutionary People's Party a Philadelphia nel Settembre del 1970

L’indagine «Pantere nere, America bianca» di Bruno Walter Renato Toscano, per ombre corte. La riflessione sul movimento nato nel 1966 a Oakland, in California, su iniziativa di Huey P. Newton e Bobby Sale, i cui militanti pattugliavano le strade armati di fucili e codici di legge «per disincentivare gli agenti a usare la violenza verso i neri», rappresenta a un tempo la fotografia di un’epoca dalle caratteristiche irripetibili e una drammatica sottolineatura della persistenza del razzismo nel cuore della società americana

Pubblicato più di un anno faEdizione del 3 maggio 2023

«È nostro dovere trasmettere lezioni, saggezza, conoscenza ed esperienze alla prossima generazione di combattenti per la libertà, di lavoratori nel settore culturale e di attivisti. In questo modo un popolo oppresso può resistere alla dominazione da una generazione all’altra senza ripetere i fallimenti, le insidie o gli errori di quella precedente».

GIUGNO 2020, sono passati pochi giorni dalla morte di George Floyd, ucciso a Minneapolis da un agente che lo ha bloccato a terra soffocandolo mentre l’uomo ripeteva «I can’t breathe» (Non riesco a respirare), quando un gruppo di ex militanti del Black Panther Party indirizza una lettera alle stelle afroamericane dell’Hip Hop perché si facciano portavoce delle proteste contro il razzismo e delle rivendicazioni sociali e politiche della comunità nera.

Dopo due mandati del primo presidente afroamericano, che non era per altro riuscito a mettere un freno agli omicidi e ai soprusi delle forze dell’ordine contro i neri, l’elezione di un candidato repubblicano che aveva portato il vocabolario del suprematismo wasp alla Casa Bianca, una serie interminabile di morti violente ad opera degli uomini in divisa, le metropoli statunitensi tornano ad incendiarsi, evocando la stagione, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, in cui la rivoluzione nera aveva segnato il proprio apice.

LO SCENARIO nel quale trova posto l’ampia e dettagliata ricostruzione dell’esperienza più significativa sorta in seno al movimento del Black Power firmata da Bruno Walter Renato Toscano, Pantere nere, America bianca (ombre corte, pp. 294, euro 23) sembra racchiudere, non solo simbolicamente, il presente in una narrazione di lungo corso che interroga il passato e la sua eredità. Da questo punto di vista, la riflessione sulla stagione per molti versi fondativa dei successivi movimenti neri, inaugurata nel 1966 a Oakland, in California, da Huey P. Newton e Bobby Sale con la nascita delle Pantere Nere che pattugliavano le strade armate di fucili e codici di legge «per disincentivare gli agenti a usare violenza verso gli afroamericani», rappresenta a un tempo la fotografia di un’epoca dalle caratteristiche irripetibili e una drammatica sottolineatura della persistenza del razzismo nel cuore della società americana.

Frutto di una vasta documentazione che include le diverse fasi conosciute dalle ricerche sul tema – dalla «demonizzazione» delle Pantere alla messe di materiali prodotti dagli ex appartenenti al movimento -, e di una serie di ricerche d’archivio condotte dall’autore in California, il libro illustra il serrato dibattito ideologico che si sviluppò in particolare all’interno del Comitato Centrale delle Pantere, l’organo dal quale dipendevano decine di «capitoli» locali sparsi per tutto il Paese, dalla California a New York.

Perché se a determinare la fine di quest’esperienza furono senza dubbio la repressione, l’uccisione e l’incarcerazione di molti leader e militanti, le «covert action» dell’Fbi come anche il mix tra la diffusione massiccia del crack nei ghetti neri e il contemporaneo taglio al welfare, specie in quei territori, sancito fin dal 1981 dall’amministrazione Reagan, Toscano sottolinea come anche le querelle interne pesarono molto. In particolare quelle tra l’ispirazione delle Pantere più legata al nazionalismo nero, le influenze marxiste-leniniste e internazionaliste, la difficoltà a coniugare «razza, classe e genere» e la scelta tra uso della violenza e azione politica pubblica, il voto ma anche l’organizzazione delle «colazioni gratuite», consumarono per molti versi dall’interno l’intera vicenda.

SE DI FRONTE AGLI ABUSI e al razzismo delle istituzioni le nuove leve dei movimenti afroamericani, a partire da Black Lives Matter, sono tornate a guardare alle Pantere, oltre ai simboli di quella stagione tracimati in modo massiccio nell’immaginario globale dei movimenti di resistenza, c’è da credere che sia nella vita quotidiana delle comunità nere che quella storia ha scritto pagine non del tutto dimenticate in termini di auto-organizzazione come di gestione dal basso di bisogni e servizi.

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