Internazionale

Rischio genocidio, «Londra la smetta di vendere armi a Tel Aviv»

Protesta in solidarietà con la Palestina a LondraProtesta in solidarietà con la Palestina a Londra – Ap/Alberto Pezzali

Bordata senza precedenti Seicento tra avvocati, docenti di diritto ex-giudici e anche ex membri della Corte Suprema britannica scrivono al premier Sunak.

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 5 aprile 2024

«Il Regno Unito deve adottare misure immediate per porre fine, con mezzi leciti, ad atti che comportano un grave rischio di genocidio. Il mancato rispetto dei propri obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio comporterebbe la responsabilità dello Stato britannico nel commettere un torto internazionale, per il quale deve essere fatta piena riparazione».

Stavolta il bilancino dei mezzi termini è volato dalla finestra. La missiva di 17 pagine piovuta ieri sulla scrivania di Rishi Sunak e vergata dalla bellezza di seicento tra avvocati, docenti di diritto e soprattutto ex-giudici – due dell’ex Corte Suprema britannica tra cui la celebre Brenda “Lady” Hale, baronessa e di quello stesso tribunale ex-presidente – parla, quasi strilla, chiaro: la Gran Bretagna deve piantarla di vendere armi ad Israele. Anzi, deve imporre sanzioni «su individui ed entità che hanno rilasciato dichiarazioni che incitano al genocidio contro i palestinesi» (il che includerebbe i vertici del governo israeliano).

Dopo la morte dei tre ex-soldati britannici che facevano i consulenti della sicurezza per il personale della World Central Kitchen nel «tragico errore» commesso dell’Idf recentemente, il monito che sarebbe dovuto arrivare mesi fa era ormai improrogabile. A renderlo tale anche una registrazione audio pubblicata dall’Observer, in cui una deputata Tory ha ammesso che, secondo i consulenti legali del governo, Israele a Gaza sta violando la legge internazionale: rendendo dunque l’alleato complice di crimini di guerra.

Da giorni i laburisti insistono perché il governo pubblichi tale parere, cosa che si è finora rifiutato di fare.

Una simile bordata dal potere giudiziario sull’esecutivo tradisce la preoccupazione per il malconcio status morale del Regno Unito, una spinosa variazione sul tema «i nostri valori». Arriva dopo la lettera dello scorso 26 ottobre, quando oltre mille avvocati avevano scritto al premier «in merito agli obblighi del governo di scongiurare ed evitare la complicità in gravi violazioni del Diritto Internazionale Umanitario a Gaza». Ma la presenza dei tre giudici supremi in quella di ieri – Hale era diventata una star per essersi messa di traverso a Boris Johnson nei suoi traccheggi Brexit – rappresenta un’evidente crepa nella fortificazione diplomatica Stati Uniti-Regno Unito, finora granitica garante dell’impunità per le atrocità israeliane che imperversano dagli orrori del 7 ottobre.

Gli stessi Sunak e il titolare degli Esteri David Cameron, nonostante la produzione ed esportazione di armamenti (non soltanto a Israele) siano un enorme fetta del PIL nazionale – il paese è uno dei massimi produttori mondiali di armi, 12 miliardi di commesse solo nel 2022 – su Gaza hanno cominciando un’imbarazzante marcia indietro, mentre in parlamento dilaga il disagio multipartisan per la complicità nello scempio umanitario perpetrato dell’Idf. Il governo britannico chiuse il rubinetto degli armanenti a Tel Aviv soltanto in altre due occasioni: con Thatcher dopo l’invasione del Libano nel 1983; e nel 2002, durante il premierato Blair.

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