Masoud Pezeshkian è il nuovo presidente della Repubblica Islamica. Il candidato riformista ha vinto il ballottaggio contro l’ultraconservatore Said Jalili, ottenendo il 53,3% dei voti. L’affluenza si è attestata al 49,8%, appena superiore al minimo storico registrato nel primo turno del 40%, comunque inferiore alla media di partecipazione registrata nelle elezioni durante i 45 anni di storia della Repubblica Islamica.

MASOUD PEZESHKIAN, 69 anni, conosciuto per la sua onestà e integrità morale, è un cardiologo e politico riformista con una lunga carriera. Deputato del parlamento per cinque mandati, è stato ministro della Salute durante la seconda amministrazione dell’ex presidente riformista Mohammad Khatami (2001-2005). Proveniente da una famiglia di rilievo della provincia dell’Azerbaigian occidentale, nel nord-ovest dell’Iran. Nel luglio 1999, durante la rivolta studentesca, difese gli studenti come preside della facoltà di medicina dell’Università di Tabriz. Ha anche fortemente criticato il governo dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane donna deceduta sotto la custodia delle forze di sicurezza, un evento che ha innescato proteste nel settembre 2022, protrattesi per mesi.

Il timore della continuazione della politica intransigente promessa dall’avversario ultraconservatore Said Jalili è stato palpabile tra molti studiosi, intellettuali, religiosi moderati e attivisti del paese. Nonostante ritenessero le poche promesse di Pezeshkian non del tutto sufficienti, hanno raccomandato alla popolazione di recarsi alle urne. Gli ex presidenti moderati Khatami e Rouhani hanno sostenuto pubblicamente il candidato riformista. Anche l’ex ministro degli Esteri Zarif, la figura più conosciuta all’estero, e alcuni ministri dell’ultimo governo conservatore sono scesi in campo, spendendo tutte le loro energie a favore di Pezeshkian.

I dati sull’affluenza e la divisione dei voti suggeriscono che gli iraniani non abbiano accolto pienamente l’invito a partecipare alle elezioni. Tuttavia, di fronte alla dura scelta tra un riformatore cauto e un intransigente, la risposta è stata chiara.

Il 60% di astensionismo, pur ridotto al poco più del 50% nel secondo turno, rappresenta un importante dato che il neopresidente deve affrontare in questo delicato momento del paese.

LE MIGLIAIA di sanzioni imposte al paese negli anni hanno fortemente danneggiato l’economia, favorendo i gruppi di potere e i loro alleati. La diffusione della corruzione nell’amministrazione pubblica, l’applicazione del sistema delle rendite e una spaventosa inflazione hanno impoverito le classi medie e spinto gli attori economici dalle attività produttive a quelle improduttive.

Durante la campagna elettorale, Pezeshkian ha promesso di risolvere i problemi economici, attuare riforme strutturali, combattere la corruzione e ridurre l’inflazione, oltre a perseguire altri obiettivi sociali, come affrontare la questione del velo obbligatorio per le donne e promuovere la giustizia sociale, rientranti nei poteri presidenziali. Tuttavia, è difficile immaginare che ciò possa accadere senza un sostegno e una collaborazione popolare, considerando che il presidente neo eletto si troverà circondato dalle istituzioni controllate dagli ultraconservatori e gli intransigenti.

Pezeshkian ha promesso di adottare una linea basata sullo studio di soluzioni alternative e negoziati per risolvere le controversie con i paesi occidentali e rimuovere le sanzioni. In realtà nella politica estera il presidente rimane principalmente un esecutore delle linee politiche provenienti direttamente dal leader supremo Khamenei.

TUTTAVIA, considerando che Khamenei avrebbe potuto impedire l’accesso del candidato riformista al secondo turno semplicemente «suggerendo» a uno dei principali candidati conservatori di ritirarsi, facilitando così la vittoria dell’altro al primo turno, sorge la domanda se Khamenei, permettendo l’elezione di Pezeshkian, abbia intenzione di ammorbidire la politica estera o se semplicemente pensi che il neo presidente eletto non rappresenti un pericolo per il sistema e possa essere facilmente controllato.

I politici occidentali potrebbero interpretare l’elezione di Pezeshkian come un tentativo del potere iraniano di apparire meno ostile. Se questo fosse vero, è probabile che la politica estera iraniana assuma un tono più moderato e che i rapporti con l’Unione Europea e l’Aiea in merito al programma nucleare iraniano diventino più collaborativi. In caso contrario, è difficile immaginare che il governo guidato dal presidente riformista possa superare le linee rosse del sistema e provocare significativi cambiamenti nella linea politica estera del Paese.

Comunque sia, tutto questo resta distante dall’aspirazione legittima degli iraniani: il raggiungimento di un sistema politico democratico.