Riforma delle Camere (e del Tango)
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
E così si discute e si vota in via definitiva in Parlamento il “taglio” degli stessi parlamentari. I lavori dell’ ultimo “passaggio” sono iniziati ieri alla Camera in un’aula quasi deserta, e questa riforma, presentata dai grillini come epocale, non sembra suscitare da nessuna parte alcuna vera emozione o passione. Forse dice qualcosa di positivo sullo stato di coesione della maggioranza giallo-rossa: anche chi l’aveva prima avversata, ora la sostiene perché fa parte del nuovo “patto”.
Si dice che la diminuzione drastica dei “rappresentanti del popolo” rende necessari “correttivi” rispetto ai quali circola per ora solo qualche “bozza” non definitiva. C’è anche chi ripete che il taglio avrebbe senso solo all’interno di una riforma istituzionale che finora non si è mai riusciti a fare in una forma compiuta: fine del bicameralismo perfetto, nuova legge elettorale, nuovo rapporto tra governo e Parlamento, nuovo sistema delle autonomie locali, ecc.
Ma dopo decenni di tentativi falliti o considerati gravemente insufficienti, e dopo il voto referendario che ha affondato l’ultima proposta di Renzi e Boschi (i quali mai si sono interrogati sui perché di quell’esito pressochè scontato, visti il metodo adottato – soli contro tutti – e i contenuti discutibili) quasi nessuno lo crede più possibile.
Ieri sul Corriere della sera si poteva leggere il pessimismo di Angelo Panebianco, orfano del maggioritario e allarmato dal significato “eversivo” di una decisione che sarebbe coerente solo all’attacco dei grillini contro la democrazia rappresentativa. Malinconico Il costituzionalista Massimo Luciani, che giudica “risibile” l’argomento dei risparmi sulla spesa pubblica, e “sconfortante” un iter che impone il voto senza prima aver stabilito gli altri cambiamenti che tutti giudicano in un modo o nell’altro indispensabili.
Sugli schermi di La7 Sabino Cassese ha poi parlato di una eterogenesi dei fini. Una riforma presentata come prioritaria per il ruolo dei cittadini e il potere del “popolo” avrà come effetto quello di rafforzare il peso delle élite, o per dirla più prosaicamente, dei capi di ciò che resta dei partiti.
Qualche pagina più avanti il quotidiano milanese riferiva però di un’altra “riforma”, forse più coinvolgente?. Quella del Tango, che secondo la “attivista Lgbt” Liliana Furlò è un ballo ricco di gesti e significati che ne fanno “un bastione del machismo argentino”.
Non si tratterebbe però di rifiutarlo in blocco, ma di interpretarlo diversamente, respingendo la simbologia ritagliata sul dominio maschile – la quale, come denuncia un “movimento feminista de tango”, produce spesso anche episodi di molestie – e affermando una gestualità diversa tra i sessi e i diversi orientamenti sessuali. Ma un Tango “politicamente corretto” non finirà col soffocare la travolgente bellezza e l’intensità estetica e erotica di questa danza, che vorrei tanto essere capace di praticare?..
Il “movimento” – riferisce Alessandra Coppola – lo nega. Non è certo detto che melodia, ritmo, l’ondeggiare dei corpi e il gioco della seduzione possano produrre un amalgama coinvolgente solo mimando il tradizionale e stereotipato rapporto maschio-femmina.
Tuttavia non sarà meglio guardarsi dagli “eccessi normativi”?
In fondo per la politica democratica vale qualcosa di simile. La sua immagine e il suo linguaggio sono sempre meno attraenti.
Il rimedio non saranno certo le equazioni quantitative, ma la capacità di rimettere in circolo un po’ di desiderio e di passione, anche cambiando i gesti, i ritmi e le relazioni tra i corpi e le parole.
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