Matteo Ricci, sindaco di Pesaro. Tra i papabili per la corsa alla guida del Pd ormai manca solo la sua candidatura. Che intende fare?

Siamo in campo da due mesi, e il 16 dicembre faremo un evento a Roma in cui tireremo le somme e decideremo. Finora ho fatto un giro per la provincia italiana che ha girato la spalle al Pd. Si chiama «Pane e politica», vado a cena a casa delle famiglie, incontro elettori del Pd ma anche delusi, astenuti. Trasmettiamo questi incontri in diretta Facebook, con una media di 10mila visualizzazioni.

Di cosa parlate a cena?

Delle causa della sconfitta del 25 settembre, delle idee per ripartire. Abbiamo fatto una decina di tappe, da Collegno, in provincia di Torino fino a Salemi, in Sicilia. Ho cenato con ragazze precarie che fanno le pulizie per arrotondare, insegnanti precari, casalinghe, ex operai. Un elettorato tendenzialmente progressista, ma sofferente, disilluso.

Cosa ha imparato?

Che in questi anni ci siamo molto riempiti la bocca con la parola partecipazione, e in realtà abbiamo discusso sempre dentro una cerchia ristretta di persone. E invece parlando con le persone reali si capisce che i temi veri non li abbiamo messi a fuoco. Mi hanno spiegato che abbiamo perso perché non avevamo una bandiera, un tema forte, un motivo per cui la gente dovesse votarci. Le cose buone che c’erano nel nostro programma non le ha capite nessuno, «avete solo parlato male degli altri», mi dicono, «alla fine avete fatto pubblicità alla Meloni».

Come dovreste ripartire?

Dal riscatto sociale. O il Pd serve per migliorare le condizioni di vita di queste persone oppure è inutile. Riscatto sociale vuol dire lavoro e casa. Per questo ho lanciato l’idea di una proposta di legge di iniziativa popolare sul salario minimo. Dobbiamo andare in piazza e raccogliere le firme, dimostrare che il Pd sta con i lavoratori sottopagati e sfruttati. Subito, senza aspettare le primarie.

La legge però è già in Parlamento, non è un passo indietro raccogliere le firme?

La maggioranza l’ha bocciata, ora che siamo all’opposizione si può rimettere in agenda in questa legislatura solo con una spinta dal basso. L’altra battaglia da fare è sul merito: ma non nella scuola dell’obbligo, li non ha senso ed è pericolosa questa discussione, ci sono già gli strumenti di valutazione. Piuttosto si parli di merito nelle professioni, nell’università: oggi se un ragazzo vuol fare l’architetto e non ha un parente con uno studio avviato lavora per anni sottopagato. Troviamo il modo di invertire questa tendenza, così come di sostenere economicamente chi non ha le risorse per pagare l’università.

Nel comitato per scrivere il manifesto dei valori del nuovo Pd già hanno litigato su capitalismo e liberismo.

Sono per una riforma del capitalismo, per un nuovo modello di sviluppo che punti sulla qualità della crescita. Tradotto, la crescita non va più misurata solo sul pil, ma sul benessere equo e sostenibile. Non lo dico io ma l’Istat, che ha introdotto questo criterio che misura anche le diseguaglianze, la salute, il livello di istruzione e la sostenibilità. Non c’è crescita se non si riducono le diseguaglianze e non si contrasta il cambiamento climatico.

Lo dice anche Schlein.

E ci mancherebbe che non ci fossero punti in comune tra persone dello stesso partito. Io cerco di declinare queste idee con il pragmatismo di una sinistra di governo, a tradurle nel mio lavoro di sindaco.

Si sente più vicino a Schlein o a Bonaccini?

Sono vicino alle persone che sto incontrando nel mio giro. Per me il partito si governa dalla sinistra riformista, non da posizioni estreme.

Anche lei moderato?

Niente affatto. Penso che in questa fase la barra si deve spostare più a sinistra, altrimenti non rientri in connessione coi ceti popolari. Ma una sinistra di governo. Su questo la mia impostazioni mi pare diversa da quella di Elly e Stefano .

In realtà Schlein guarda a sinistra. Bonaccini da quando si è candidato non ha mai citato la lotta alle diseguaglianze.

Io penso a una grande forza progressista e europeista.

E’ possibile un ticket tra lei e Schlein?

In questi giorni si leggono tante ipotesi sui giornali. Ma dico una cosa: non vorrei una campagna congressuale fatta di scontri. Ho a cuore l’unità e sono preoccupato: se non gestiamo bene il congresso ci sono rischi di divisione. Le primarie con soli due candidati sono una novità che rischia di divaricare troppo, poi è difficile rimettere insieme i pezzi.

Per ora il sostegno più concreto le è arrivato da Goffredo Bettini. Altri seguiranno?

Le parole che Bettini ha speso per me mi hanno onorato. Lo ringrazio tanto e mi spingono a impegnarmi al massimo per dare alla sinistra italiana una prospettiva politica. Vedremo che succederà nei prossimi giorni.

Il Pd ha fatto i conti col renzismo?

Basta con le ipocrisie. Renzi aveva il 70% nel Pd, la nostra comunità ha sperato e creduto che potesse rinnovare la sinistra italiana. Le cose sono andate diversamente, lui ha usato il Pd per fare carriera e ora lo vuole distruggere. La sua è una stagione chiusa, non c’entra più nulla col centrosinistra, lasciamolo fuori dal congresso. È chiaro che in una fase in cui ridefiniamo la nostra identità vanno riesaminati criticamente anche gli errori di quella stagione, cosa che finora è stata fatta solo in parte.

Lei terrebbe il manifesto del Pd veltroniano del 2007 o lo riscriverebbe?

Una discussione surreale: dal 2007 è successo di tutto, oggi la destra ha il 30% e governa il paese. Come si può pensare di non mettere in discussione le nostre basi?