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Respinto illegalmente in Libia. Ora l’Italia deve accoglierlo

Respinto illegalmente in Libia. Ora l’Italia deve accoglierloTripoli, un gruppo di migranti intercettati dalla guardia libica – Ansa

La sentenza Il tribunale di Roma ha stabilito che il cittadino sudanese ha diritto di entrare in sicurezza nel territorio nazionale. Nel 2018 era stato riportato a Tripoli dalla nave Asso 29

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 giugno 2023

Non ci sono dubbi che «il respingimento collettivo illegittimo di cui è stato vittima il ricorrente e di cui deve considerarsi responsabile lo Stato italiano permette di ritenere sussistente il suo diritto ad accedere sul territorio nazionale per presentare domanda di protezione internazionale». Lo ha stabilito il tribunale di Roma sul caso di A. O. A., cittadino sudanese scappato nel 2003 dopo lo scoppio del conflitto in Darfur e ora residente in Libia. Dove è stato respinto il 2 luglio 2018 dalla nave italiana Asso 29. Con lui altre 261 persone trasbordate dalla motovedetta Zuwarah con il coinvolgimento dell’incrociatore tricolore Caprera, ormeggiato a Tripoli.

SECONDO IL TRIBUNALE l’uomo non ha potuto far valere il suo diritto a chiedere protezione «a causa di una condotta illegittima da parte dell’autorità italiana». Per questo e perché ricorrono altri due presupposti – fumus boni iuris, la verosimile fondatezza giuridica della richiesta avanzata, e periculum in mora, un rischio effettivo della violazione di un diritto soggettivo – la giudice Silvia Albano ha stabilito che l’Italia dovrà consentire «l’immediato ingresso» dell’uomo sul territorio nazionale. La sentenza è del 10 giugno scorso, ma è stata resa pubblica ieri.

A SEGUIRE IL RICORRENTE – che ha citato in giudizio: Palazzo Chigi; ministeri Difesa, Esteri e Interno; ambasciata d’Italia a Tripoli – due avvocate dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): Loredana Leo e Cristina Laura Cecchini. «Questa decisione, che arriva dopo la condanna penale per il caso analogo che ha coinvolto l’Asso 28, ribadisce l’illegittimità dei respingimenti realizzati tramite le navi mercantili. Stavolta il focus non era sulla responsabilità del privato, l’armatore, ma su quella del pubblico, lo Stato», afferma Leo.

Subito dopo la sentenza le legali hanno richiesto il visto per permettere al richiedente asilo di arrivare in sicurezza in Italia. Anche perché in Libia è già stato sottoposto a maltrattamenti, detenzioni e lavoro forzato e le condizioni di pericolo permangono. Per adesso l’ambasciata italiana non ha comunicato nulla. Per quanto a conoscenza delle avvocate, non ha nemmeno fatto reclamo (ha 15 giorni di tempo dal pronunciamento). «Senza risposte faremo un’esecuzione», continua Leo.

UN RUOLO FONDAMENTALE nella vicenda lo ha giocato il Jl Project, ora parte di Mediterranea, che è nato proprio sul caso del respingimento che ha coinvolto A. O. A. «Nel 2019 cercavo attraverso vari contatti nei lager libici i respinti dall’Asso 28. Mi sono imbattuta in molte persone che raccontavano una circostanza analoga ma con un’altra data. Ho capito che c’era stato un secondo respingimento segreto. Con altri attivisti abbiamo creato il collettivo e iniziato a indagare», racconta Sarita Fratini.

Il Jl Project ha ritrovato 85 vittime della Asso 29. Cinque sono arrivate in Europa e hanno fatto causa all’Italia e alla Augusta Offshore, la compagnia proprietaria della nave in servizio presso le piattaforme di idrocarburi davanti alla Libia. Chiedono un risarcimento per i danni subiti. Il procedimento è ancora in corso.

Intanto i contatti con A. O. A. sono andati avanti per anni. Gli attivisti hanno raccolto fotografie e informazioni per creare un dossier con l’obiettivo di dimostrare che l’uomo era a bordo della nave. «Ha visto morire amiche e amici, in mare, nei lager libici e in Sudan. Ha sofferto fame e sete. Non ce la fa più», dicono dal Jl Project. Che tiene a sottolineare un aspetto: «Facciamo parte di Mediterranea, una delle Ong accusate di attività illegali. Noi siamo per la legalità e lo dimostriamo con questa sentenza che il governo italiano deve rispettare».

PER ASGI NON È LA PRIMA AZIONE legale di questo tipo. A dicembre 2021 i suoi legali hanno ottenuto il riconoscimento del visto a Validità territoriale limitata (Vtl) per due giornalisti afghani. Dopo il loro ingresso in Italia, però, il ministero degli Esteri ha fatto ricorso e il giudice ha stabilito che tale richiesta si legittima solo quando intercorre un rapporto qualificato tra la persona e il Paese. È questo l’orientamento prevalente che sta seguendo il tribunale. Stavolta al rapporto qualificato si aggiunge la condotta illecita dell’autorità.

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