C’è una coerenza tra teoria e prassi delle destra italiane al governo, a giudicare dalle riforme che loro esponenti hanno votato negli ultimi giorni in Parlamento, e il modo di atteggiarsi rispetto all’istituzione parlamentare.

Come hanno mostrato i video circolati in tutto l’orbe terracqueo (nessuna ironia, è una citazione del decreto Cutro), giovedì alla Camera una serie di deputati della Lega e di Fdi hanno aggredito il deputato pentastellato Leonardo Donno che stava sventolando il Tricolore davanti al ministro Calderoli, durante l’esame del ddl sull’autonomia.

I DEPUTATI DELL’OPPOSIZIONE ieri hanno contestato il verbale, che viene letto a inizio di seduta, in cui l’episodio viene definito come «disordini». «È stata un’aggressione» ha detto a inizio seduta Federico Fornaro, che ha chiesto una rettifica dello stesso verbale, come tutti gli altri deputati dell’opposizione intervenuti in mattinata. «È un elemento di chiarezza tra di noi» ha spiegato Fornaro.

Posta ai voti, la correzione è stata respinta. Ma è stata contestato, a cominciare da Carmela Auriemma di M5s, anche il resoconto stenografico, dove si legge che Donno «scende al centro dell’emiciclo e si avvicina con veemenza al ministro Calderoli dispiegando la bandiera italiana, trattenuto dagli assistenti parlamentari».

UN RESOCONTO SMENTITO dai video. Visto che i funzionari della Camera addetti al resoconto stenografico e al verbale sono per tradizione tra i più bravi, si può presumere che si stia andando oltre le pressioni fin qui esercitate su di loro da parte della maggioranza. La concezione della destra, in base al quale la vittoria elettorale mette nelle tue mani tutto, compie un ulteriore passo: «Non faremo prigionieri» disse Cesare Previti nel 1994; nemmeno dipendenti e funzionari delle istituzioni, viene aggiunto nel 2024.

Malauguratamente la conferma arriva al termine dell’Ufficio di Presidenza della Camera, nel tardo pomeriggio, chiamato a sanzionare i tristi protagonisti dell’altro ieri. Ad essere puniti sono tanto gli aggressori quanto gli aggrediti, seppure in misura diversa: 15 giorni al leghista Igor Iezzi, che ha sferrato la maggior quantità di pugni, 7 ad altri che hanno menato le mani, tra cui Furgiuele (Lega), quello del simbolo della X Mas, ma anche 4 a Donno e 3 al dem Enzo Amendola, sceso nell’emiciclo per sedare la rissa; stessa sanzione del leghista Stefano Candiani, che nello stesso luogo la rissa la aizzava.

«Un’inaccettabile squilibrio mettere sullo stesso piano chi ha aggredito e chi ha reagito a provocazioni», ha commentato la capogruppo del Pd Chiara Braga, imitata da altri esponenti dem, di M5s e di Avs.

SPOSTANDOSI AL SENATO, dove ieri si è concluso il voto degli emendamenti al premierato, un episodio minore è stato altrettanto eloquente. Verso mezzogiorno i senatori del Pd, di Avs e di M5s hanno inscenato una protesta in Aula, contro il contingentamento dei tempi della discussione, e hanno sventolato al centro dell’emiciclo dei grandi fogli con stampato il tricolore, con annesso intervento dei commessi che li hanno sottratti dalle loro mani. Alcuni senatori della maggioranza hanno a loro volta preso i tricolori esponendoli e intonando l’inno d’Italia.

Ebbene, la ministra Casellati si è alzata, ha brandito anche lei un foglio tricolore, mettendosi a cantare l’inno. Una giovane commessa intimidita dall’ex presidente del Senato, le se si è avvicinata e, imbarazzata, le ha sfilato di mano il tricolore.

Nella storia della Repubblica mai un membro del governo, per di più ex presidente di assemblea, aveva osato tanto; mai aveva osato irridere le opposizioni. Tanto è vero che nei Regolamenti neanche si ipotizzano sanzioni verso comportamenti impropri di un ministro in Aula, perché è qualcosa di inimmaginabile, come un Papa che bestemmia.

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SI TRATTA DI EPISODI che mostrano come le destre vogliano portarsi avanti rispetto alla riforma del premierato, che ieri in Senato è stata definita: è stato infatti approvato l’emendamento del governo all’articolo 7 che recepisce l’ultimo accordo della maggioranza sulla gestione delle crisi di governo.

Il premier eletto ha il potere di sciogliere le Camere non sol quando viene sfiduciato da una mozione, ma in tutti i casi di sue dimissioni, anche in mancanza di sfiducia parlamentare.

Il problema di questa riforma non è solo quello di avere dei buchi e dei bachi istituzionali. La questione di fondo è la società che si mira a plasmare con questo modello istituzionale.

Una società già polarizzata (come mostrano le crisi di tutte le Repubbliche presidenziali) aumenterà la propria conflittualità o troverà meccanismi nuovi per governarla, alla luce della crisi dei corpi intermedi? E quale sarà il luogo della mediazione politica e sociale se il Parlamento non sarà altro che comitato elettorale del premier eletto? Ma forse il gesto odierno della ministra Casellati illustra a cosa servirà l’aula parlamentare.