In vista delle elezioni amministrative del 12 giugno, e delle politiche dell’anno prossimo, Matteo Renzi e il suo partito Italia Viva hanno rilanciato una raccolta firme, già annunciata il 2 settembre 2021, per un referendum abrogativo del cosiddetto «reddito di cittadinanza» che potrebbe tenersi forse nel 2025.

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Sempre che sia indirizzata a questo scopo, l’iniziativa annunciata ieri partirà «dal 15 giugno» e dovrebbe essere valutata a partire da ciò che dice legge 352 del 1970 articolo 31 che esclude la possibilità di depositare una convocazione dell’elettorato nell’anno precedente alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla convocazione dei comizi per l’elezione di un nuovo parlamento. L’attuale legislatura si concluderà a marzo 2023. Un’iniziativa come quella prefigurata da Renzi potrà essere organizzate a partire dal gennaio 2024. Il referendum sarebbe indetto a partire tra aprile e giugno 2025. Per la politica italiana questa data sembra remota, anche se è sempre possibile che, nel prossimo triennio, la sua crisi resti commissariata in una forma non lontana da quella attuale. Ciò che al momento sembra più certo è invece il fatto che è già in corso la campagna elettorale di tutti contro tutti nella maggioranza draghiana contro un sussidio di ultima istanza che esclude una parte cospicua dei «poveri assoluti», penalizza i nuclei familiari numerosi ed è vincolato teoricamente al lavoro gratuito fino a 16 ore a settimana, all’obbligo di formazione e all’accettazione per ora di un’offerta di lavoro su due pena la decadenza.

C’è un motivo per cui questo sistema di Workfare, strutturalmente incompleto, alimenta l’indignazione nelle destre neoliberali con posizionamenti diversi (Renzi, Lega o Forza Italia, fino a Fratelli d’Italia). Ciò è dovuto al fatto che, in mancanza delle politiche attive del lavoro che sarebbero collegate al sussidio, il «reddito di cittadinanza» è nei fatti, ma non per volontà dei Cinque Stelle, una misura che assomiglia a un «reddito di base». Gli «abolizionisti» pensano che nessun pasto è gratis. La formula usata da Renzi o da Meloni è esplicativa: il «reddito è diseducativo». Cioè spingerebbe, sia pure nella forma spuria attuale, a non accettare i ricatti. Chi difende il «reddito», dai Cinque Stelle a LeU fino al Pd (contrario alla misura fino al governo «Conte 2») sostiene che le destre con le quali governano facciano «i Robin Hood al contrario» e interpreta il sussidio nella forma ristretta già disegnata dal governo Draghi e vincolata al sistema di Workfare previsto dal 2019. Le vittime di questa commedia degli equivoci sono i percettori del reddito. Così, in altri termini, è in Europa o negli Usa, così è in Italia.

Per l’Inps i percettori del «reddito» sono 2,31 milioni italiani, 238 mila extra comunitari con permesso di soggiorno UE e quasi 90 mila cittadini europei. Per i nuclei con presenza di minori (oltre 392 mila), l’importo medio mensile è 687 euro, e va da un minimo di 589 euro per i nuclei composti da due persone a 745 euro per quelli composti da cinque persone.