C’è una ragione importante a favore di un accordo di un fronte progressista tra Pd e 5 Stelle per le prossime elezioni regionali del Lazio in relazione al ruolo fondamentale che hanno le regioni in materia di energia. Mai come per le azioni di contrasto al cambiamento climatico stiamo assistendo, in queste prime fasi di un governo nazionale di centrodestra, ad un vero e proprio disegno antistorico.

NONOSTANTE NEL 2022 i consumi energetici siano diminuiti, non si sono ridotte le emissioni di gas climalteranti, cosa preoccupante. Questo perché, a fronte del maggiore ricorso alle fonti fossili giustificato dalla crisi ucraina (+8% petrolio e + 47% carbone, dati Enea), viene riscontrato un forte peggioramento dell’indice Ispred, indice che misura l’andamento della transizione energetica sulla base dei prezzi, delle emissioni di CO2 e della sicurezza degli approvvigionamenti, che solo nel passato terzo trimestre ha registrato una riduzione pari a -60%.

TALE ATTEGGIAMENTO, in netto contrasto con il raggiungimento degli obiettivi delle emissioni nazionali richiesti dall’Europa (-55% al 2030), evidenziano ancora di più il ruolo fondamentale delle regioni sulla questione energetica e, tra queste, di quelle più significative (Lazio e Lombardia) dal punto di vista dei consumi. Se consideriamo poi anche le attuali politiche nazionali sull’energia rivolte al passato, con trivellazioni inutili, nucleare operativamente ancora non proponibile, riapertura delle centrali ai combustibili più inquinanti come il carbone, il ruolo delle regioni risulterebbe ancora più importante nell’impedire di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili, unica vera alternativa verso una autonomia energetica del nostro Paese. Si pensi all’importanza del piano energetico della regione Lazio, presentato a fine luglio dall’amministrazione uscente.

UN PIANO CHE MIRA a raggiungere gli obiettivi europei del FitFor55, che imposta un processo di decarbonizzazione per uno sviluppo della regione in termini di filiera industriale e di nuovi green jobs, che propone una struttura di economia circolare che parta dall’industria e con poli dell’innovazione come la riconversione di Civitavecchia, dove è prevista la chiusura della centrale a carbone per fare spazio al primo distretto di energie rinnovabili del Lazio, con 10.000 nuovi posti di lavoro e con parchi eolici off-shore da 400 MW, con la prevista realizzazione – in un Paese che sta ancora aspettando la strategia nazionale sull’idrogeno – di una hydrogen valley da 10.000 tonnellate l’anno.

UN PIANO DEL GENERE dovrebbe essere implementato e magari ulteriormente migliorato, e non viceversa smantellato, come è presumibile lo sia in un governo regionale in linea con quello nazionale che vuole rinegoziare gli obiettivi europei.

LE RICADUTE DI UN TALE passo indietro sarebbero allarmanti: significherebbe il peggioramento dell’adeguatezza del sistema gas e problemi di sicurezza, che in un’ottica di politiche dei prezzi non rimodulata drasticamente, si rifletterebbe sempre e solo con una ripercussione sulle aziende e sui cittadini, a partire da quelli più deboli.

UNA REGIONE LAZIO CAPACE invece di portare concretamente avanti azioni sull’energia in contrasto con le tendenze del governo nazionale costituirebbe una seria azione di opposizione giusta, di valorizzazione delle risorse rinnovabili dei territori attraverso una rete di imprese capaci di creare filiere industriali a supporto di tutti gli aspetti tecnologici della rivoluzione energetica in termini di catena del valore, e – soprattutto – di attuazione di attività improntate su benefici ambientali e sociali. Significherebbe spendere bene i 17 miliardi a disposizione del PNRR, dimostrando di saper programmare piani industriali organici non legati ad una logica neoliberista del profitto fine a se stessa, incompatibile con la realizzazione di quei benefici sociali ed ambientali di cui abbiamo bisogno.

SIGNIFICHEREBBE DIMOSTRARE una forte volontà di riconversione produttiva della componentistica e dei sistemi, ma anche di reskill e upskill formativi per non subire fra qualche anno il know how estero. Significherebbe mettere in campo l’unica rivoluzione industriale possibile nel nostro Paese, quella improntata non su competitività e produttività ma su rigenerazione e flessibilità, attraverso misure volte a ridurre l’attuale frammentazione del sistema produttivo, tramite formazione di joint venture e consorzi coerenti sul fronte a della riconversione ecologica. Cinque anni di retroguardia anche nel Lazio, di questi che saranno cinque anni decisivi, potrebbero essere un disastro per l’ambiente, l’economia e la società.

*Prorettore alla Sostenibilità, Sapienza Università di Roma