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Referendum, tutto per uno

Referendum, tutto per unoIl ministro Alfano

Riforme Retromarcia del governo, anche per le comunali si voterà in un solo giorno. Aprendo le urne al lunedì, Renzi voleva favorire il plebiscito di ottobre. E attacca: è il comitato del no a personalizzare

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 17 maggio 2016

Problema numero uno: come conciliare la propaganda sui risparmi eventuali della riforma costituzionale, con i sicuri costi della duplicazione delle giornate elettorali. Problema numero due: come evitare di accontentare Alfano, che nel caso di un decreto per allungare il voto delle amministrative fino al lunedì chiedeva di inserire una sanatoria per la sua lista a Cosenza. Problema numero tre: come estendere per decreto le giornate di voto per il referendum, quando ancora non c’è il decreto che individua la domenica di ottobre in cui saremo chiamati a votare sulla riforma costituzionale. Troppi problemi, e così il governo ha fatto retromarcia. Per le amministrative e per il referendum si voterà solo la domenica. Al ministro dell’interno Alfano, che aveva fatto preparare il decreto su mandato del presidente del Consiglio Renzi, è toccato spiegare la ragione del ripensamento. Se l’è presa con l’opposizione: «Di fronte a tante polemiche pretestuose e strumentali lasciamo le cose come stanno».
Le polemiche erano venute facili: un mese fa il governo non si era preoccupato affatto dell’astensionismo, anzi lo aveva incentivato invitando a disertare il referendum sulle trivelle a mare. Le comunali sono un intermezzo, in vista della sfida capitale di ottobre. Allora Renzi ha interesse che votino più elettori possibile, perché il quesito sulla riforma costituzionale si trasformi in un referendum su se stesso e il governo. È chiaro che i cittadini che conoscono la riforma e la avversano sono motivati ad andare alle urne e voteranno no. Sono gli altri che possono fare la differenza, regalando al presidente del Consiglio il plebiscito che cerca. Ma che a giorni alterni nega. Ieri ha scritto che «personalizzare lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio».

È vero il contrario: per il no sono schierati i principali costituzionalisti italiani, di diverse opinioni politiche, che in più prese di posizione e appelli collettivi hanno spiegato i difetti e i rischi della legge di revisione che andrà al referendum. Renzi riassume il tutto con uno slogan buono per la campagna elettorale: «Ma davvero quelli del no vogliono mantenere tutte queste poltrone e conservare il bicameralismo che non volevano nemmeno i costituzionalisti?». In realtà la proposta di cancellare del tutto il senato, che avrebbe comportato una legge elettorale proporzionale per la camera, avrebbe tagliato ancora di più le «poltrone» e introdotto davvero il monocameralismo. Quanto ai costituenti, il bicameralismo l’hanno fatto.
Che Renzi non voglia personalizzare il referendum è poco credibile. È stato lui stesso a cercarlo, qualche volta eccedendo – come quando ha spiegato che può votare no solo chi lo odia – qualche altra volta argomentando meglio – come quando ha ricordato che il governo ha legato dal principio il suo destino alla riforma costituzionale. In ogni caso la scelta di mettere sul piatto del referendum la crisi, annunciando le dimissioni «il giorno dopo» nel caso di una vittoria del no, chiude il discorso. La personalizzazione è nei fatti, tant’è che il presidente del Consiglio guiderà personalmente il comitato del sì, chiunque sarà la figura individuata per presiedere il comitato. Sabato, da Brescia, sarà proprio Renzi a battezzare l’avvio della campagna, lanciando il sito bastaunsi.it.
Oggi invece, con la veste del segretario del Pd, chiederà ai gruppi parlamentari di impegnarsi a fondo nella campagna elettorale. Delle amministrative, certo, ma soprattutto del referendum. La minoranza bersaniana che alla fine ha votato a favore della riforma costituzionale – altrimenti l’avrebbe potuta bloccare – ieri ha ricordato di aver vincolato il suo sì alla promessa di una legge elettorale per far scegliere ai cittadini i nuovi senatori. Si tratta del confuso accordo che è stato fatto rientrare nelle norme transitorie della riforma. In base al quale i senatori dovranno continuano a essere scelti dai consigli regionali, ma «in conformità» alle scelte degli elettori. Come questo possa accadere è un mistero. Come il parlamento nazionale possa imporlo alle regioni, ognuna delle quali ha la sua legge elettorale, è un mistero doppio. La minoranza Pd dà a vedere di averlo scoperto adesso.

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