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Referendum propositivo, a Montecitorio il primo sì

Referendum propositivo, a Montecitorio il primo sìRiccardo Fraccaro festeggia dopo il voto – LaPresse

Riforme costituzionali Il testo passa con 272 sì, meno della maggioranza assoluta che sarà indispensabile in seconda lettura

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 22 febbraio 2019

L’introduzione in Costituzione del referendum propositivo, approvata ieri alla camera con 272 sì, meno della maggioranza assoluta che sarà indispensabile in seconda deliberazione, non è una clamorosa novità targata 5 Stelle-Lega. Una formula molto simile era stata proposta già dalla prima commissione per le riforme istituzionali, 35 anni fa. Anche la riforma Renzi-Boschi bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016 prevedeva, un po’ in astratto, questo tipo di referendum.

La maggioranza giallobruna lo ha lanciato richiamando gli ordinamenti di Svizzera e California che contengono istituti simili. Nel corso del dibattito si è chiarito che il riferimento a forme di stato così diverse ha poco senso e la maggioranza ha evitato di insistere con il paragone.

LA RIFORMA AGGIUNGE 5 commi all’articolo 71 della Costituzione, affiancando alla vecchia proposta di legge di iniziativa popolare – con 50mila firme i cittadini possono presentare al parlamento un testo di legge, senza garanzie che venga discusso, e la storia ha dimostrato che non accade praticamente mai – un’iniziativa popolare rafforzata.

Se la proposta è appoggiata da 500mila firme, il parlamento deve approvarla senza modifiche o con modifiche «meramente formali» entro 18 mesi, altrimenti il testo è sottoposto a referendum propositivo. La legge costituzionale introduce un’altra novità che è stata estesa anche al referendum abrogativo, il controllo di ammissibilità (da parte dell’ufficio centrale presso la Cassazione nel caso dell’articolo 75) o di costituzionalità (da parte della Corte costituzionale nel caso dell’articolo 71) anticipato dopo la raccolta di 200mila firme. Così da evitare costose campagne di raccolta su testi destinati a essere cestinati.

Come sempre accade, la prima lettura (questa della camera è anche la prima deliberazione, la procedura di revisione costituzionale ne prevede due a distanza di almeno tre mesi) è stata quella davvero «redigente»; il testo approvato ieri è molto diverso da quello proposto a settembre scorso dai capigruppo di Lega e 5 Stelle (ma preparato dai collaboratori del ministro Fraccaro). La modifica più evidente è il quorum di validità del referendum, all’inizio non previsto e adesso fissato – altra notevole innovazione – con una soglia di approvazione: perché il referendum sia valido, i sì dovranno essere almeno il 25% del totale degli elettori aventi diritto. E ovviamente più dei no.

RESTANO PERÒ DIVERSI problemi aperti. Il più importante riguarda la filosofia di fondo della riforma. Se cioè il referendum propositivo vada inteso come una forma di collaborazione o magari anche di sfida dei cittadini al parlamento, la formula è «democrazia partecipativa», e in questo senso vanno le dichiarazioni della relatrice 5 Stelle Dadone e talvolta del ministro Fraccaro. O al contrario come un assalto della «democrazia diretta» a quella «rappresentativa», come non si stanca di ripetere Di Maio. Che la presenta come una punizione alla «casta parlamentare» che va di pari passo con il taglio dei deputati e senatori, il taglio delle indennità e dei vitalizi.

Nella formulazione originaria del testo, questa contrapposizione filosofica trovava concretezza nel ballottaggio tra il testo della legge di iniziativa popolare e il testo eventualmente approvato dal parlamento. Tra il testo del «popolo» (una sineddoche, si tratta pur sempre di 500mila cittadini) è il testo dei «politici». La maggioranza ha poi rinunciato al ballottaggio, non si è capito bene se convinta dalle ragioni delle opposizioni o scoraggiata dalla impraticabilità tecnica del quesito con tre risposte (testo A, testo B o nessuno dei due). È adesso previsto che si voterà solo sul testo avanzato dal comitato promotore (a meno che le modifiche apportate dalle camere siano «meramente formali») e la legge nel frattempo licenziata dalle camere resterà nel limbo (approvata ma non promulgata).

La competizione tra i due testi nella sostanza resta, anzi c’è il rischio che il lavoro di mediazione del parlamento finisca nell’ombra della campagna elettorale.

Non è stato stabilito quale organo dovrà giudicare se le modifiche delle camere sono state solo formali, e se dunque il referendum si deve tenere o no. Potrebbe essere l’ufficio centrale della Cassazione che svolge una funzione simile nel caso del referendum abrogativo, ma la scelta è rinviata alla legge di attuazione. Legge che andrà approvata a maggioranza assoluta e che dovrà occuparsi anche di un altro aspetto delicato: introdurre un tetto alle leggi di iniziativa popolare che altrimenti rischierebbero, visto il termine di 18 mesi per l’approvazione, di monopolizzare i lavori parlamentari. La maggioranza non ha voluto fissare un numero massimo in Costituzione per evitare di appesantire il testo. Ma il governo ha accolto (e tutta la maggioranza ha votato a favore di) un ordine del giorno Ceccanti, Fornaro, Magi che, con formula fantasiosa, «impegna il governo a non opporsi» a fissare, nella legge di attuazione, «un numero contenuto di proposte di iniziativa popolare rafforzate nell’anno solare». Non sarà semplice stabilire con quale criterio escludere alcune proposte o impedire ai cittadini di sottoscriverne più di una.

UN ULTERIORE PROBLEMA è che non sono state limitate con precisione le materie escluse dalle proposte di legge popolare. Accogliendo le richieste dell’opposizione, la maggioranza ha accettato di inserire un criterio di inammissibilità all’apparenza definitivo: la proposta deve rispettare la Costituzione. Tutta, non solo i principi generali. Resta però la possibilità di proporre leggi di spesa, indicandone la copertura, e leggi su altre materie che si prestano a campagne referendarie demagogiche, per esempio in campo penale. Alla Corte costituzionale è affidato un controllo pieno di costituzionalità nel momento in cui il testo è solo una proposta di legge. Si introduce così per la prima volta in Italia, con una formula più spinta rispetto ad altri ordinamenti che pure lo prevedono, il controllo preventivo dei giudici delle leggi. Un’altra storica novità. Ammesso che la riforma arrivi in porto.

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