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Referendum, ora Renzi teme il passo falso

Referendum, ora Renzi teme il passo falsoManifestazione No triv

17 aprile Il premier preoccupato: la sua sovraesposizione con l’invito all’astensione a rischio boomerang. Anche i ministri Franceschini e Madia annunciano che si terranno lontani dalle urne. La presidente della camera Laura Boldrini: «Non votare è la conferma del disamore per la politica»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 14 aprile 2016

Il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi del Codacons e dei radicali sulla scelta di fissare il referendum in data diversa da quella delle elezioni comunali. Il voto sulle trivelle resta convocato per domenica prossima. Poco male se lo scherzetto costerà 300 milioni. L’importante è evitare che i votanti superino il 50%, e non si badi a spese.

Nel quartier generale di Renzi sono contentoni. Ci voleva una notizia rassicurante, tanto più perché da quelle parti si è diffuso un tangibile nervosismo, la sensazione, condivisa dallo stesso capo, di aver sbagliato strategia. Gli ufficiali renziani ancora non temono il raggiungimento del quorum, che per il premier sarebbe disastroso, però danno per possibile l’afflusso del 40% di votanti: l’asticella che separa un risultato accettabile da una sconfitta politica secca, pur se non esiziale come sarebbe il superamento del quorum e la vittoria dei «sì». Anche perché, segnalano alcuni dei più vicini al capo, una percentuale alta di votanti renderebbe poi inevitabile il paragone con quanti voteranno nel referendum del prossimo ottobre, e se in quell’occasione la percentuale dovesse scemare, sarebbe imbarazzante.

Insomma, siamo alle previsioni metereologiche. I renziani contano su una domenica di caldo eccezionale, prevista dai nipotini del colonnello Bernacca, e si fregano le mani: saranno in tanti ad andarsene al mare. Spiano i sondaggi, che nei giorni roventi di Tempa rossa erano arrivati sulla soglia del fatidico 40% ma ora sono lievemente scesi. Si complimentano con se stessi per aver spostato con le cattive il voto sulle mozioni di sfiducia a martedì prossimo, dopo il referendum. Con il sottosegretario targato Pd Vito De Filippo, ex presidente della Basilicata, indagato per Tempa rossa, il dibattito sarebbe stato la miglior pubblicità possibile per il referendum. Ma la paura resta.

Lui, Renzi, non lo ammetterebbe mai apertamente, ma dicono che oggi consideri uno sbaglio l’essersi esposto tanto su quel referendum. Un po’ perché gli sarebbe stato facile lasciare libertà di voto tirandosi fuori dalla mischia, e molto perché proprio la sua discesa in campo spinge anche la destra verso le urne. Gli esponenti della Lega e di Fi annunciano voti diversificati: Brunetta per il no, la Brambilla per il sì e così via. Però molti andranno a votare non per le trivelle ma per Renzi, e se la scelta dovesse essere fatta anche da molti elettori di destra del nord, dove il problema trivelle è assai meno avvertito che nel sud, allora sì che sarebbe un guaio.

Inoltre, è stata sempre la sovraesposizione del premier a rendere la faccenda un caso istituzionale di rilievo. Ieri la presidente della Camera Laura Boldrini è tornata sull’argomento: «Andrò a votare perché ritengo che sia un dovere. Non andare a votare è la conferma del disamore per la politica e della disillusione». Per quanto il Pd ci voglia girare intorno, lo spettacolo dei quattro vertici istituzionali, il capo dello Stato, i presidenti delle camere e quello della Consulta, che vanno a votare mentre il premier e i suoi ministri di fiducia invitano all’astensione sarà giocoforza parecchio increscioso.

Ieri altri due ministri renziani di peso, Franceschini e Madia, hanno annunciato che domenica si terranno lontani dalle urne. La Boschi farà lo stesso, ma senza nemmeno avere il coraggio di dirlo apertamente come i colleghi in questione: «Seguirò le indicazioni del mio partito».

Il quale però è tanto spaccato da far sì che questo referendum sia anche una prova generale del prossimo, quello di ottobre sulla riforma costituzionale. L’area che domenica intende andare a votare, sia pure in modo differenziato, con Bersani per il «no» e Speranza impegnatissimo sul fronte opposto, è la stessa che non ha ancora sciolto la riserva sul voto autunnale, in attesa di una provvidenziale modifica dell’Italicum. Quella revisione non arriverà, Renzi lo ha garantito una volta di più proprio ieri. Ma se la minoranza voterà no al referendum sulla riforma costituzionale, tanto più in una prova che lo stesso Renzi ha trasformato in plebiscito su se stesso, la convivenza nello stesso partito diventerà impossibile.

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