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Redistribuire la ricchezza senza disturbare il manovratore

Manovra Un vero programma di cambiamento, come si dice oggi, imporrebbe la predisposizione di strumenti non solo per la redistribuzione della ricchezza prodotta e accumulata, ma anche per la redistribuzione del lavoro, del tempo di lavoro, delle modifiche profonde alla vita lavorativa

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 2 novembre 2018

La distribuzione della ricchezza (a pochi molto e sempre più, a molti poco e sempre meno) è come un tarlo che banchetta con le gambe di legno del sistema capitalistico occidentale.

Questa situazione sconquassa il sistema sociale, le aspettative dei singoli, le prospettive di futuro e, per quanto il capitalismo si sia acconciato a fare denaro con denaro, piuttosto che attraverso la produzione di merci, finisce per erodere la consistenza sociale del capitale e ne riduce il fascino.

La bibliografia in proposito è molto estesa, sia quella partigiana che quella critica, e guarda con sospetto o preoccupazione questa condizione immaginando lo sfaldamento delle opportunità. Appare indispensabile (sia ai riformisti che ai radicali) un meccanismo che possa redistribuire la ricchezza. Chi sostiene che solo lo sviluppo economico può operare questa redistribuzione, non riflette sul fatto che l’attuale squilibrata distribuzione della ricchezza è figlia dell’attuale modello di sviluppo e che essa, inoltre, costituisce un vincolo allo sviluppo.

Ci sono altri vincoli e ostacoli alla costruzione di una società caratterizzata da giustizia sociale, ma quello della distribuzione della ricchezza sembra uno dei principali.

Alcuni ironizzano sullo Stato “Robin Hood”, senza riflettere che non di questo si tratta ma piuttosto di un principio di equità sociale. Le linee che in generale tendono a prevalere sono due: affidare allo sviluppo economico una catartica minore sperequazione distributiva; e puntare ad alleviare le condizioni di chi meno ha (senza cioè incidere sullo squilibrio strutturale).

Si può essere d’accordo sul fatto che il “lavoro” sia qualcosa di più che la semplice opportunità per ottenere un reddito, esso è anche soddisfazione, identificazione, occasione di socializzazione, esperienza tecnica e sociale, opportunità di costruire relazioni sociali e politiche, e altro ancora. Ma non possiamo dire che il mondo del lavoro e il lavorare sono cambiati e continuare a proporre ricette non più adeguate. In realtà, un vero programma di cambiamento, come si dice oggi, imporrebbe la predisposizione di strumenti non solo per la redistribuzione della ricchezza prodotta e accumulata, ma anche per la redistribuzione del lavoro, del tempo di lavoro, delle modifiche profonde alla vita lavorativa. Di questa necessità la politica non si cura con la conseguenza che le trasformazioni si imporranno con costi sociali e umani enormi.

I governi di centro sinistra della redistribuzione della ricchezza non si sono occupati, se non nella tradizionale affermazione della lotta all’evasione fiscale. La ricchezza accumulata non poteva toccarsi onde evitare che questa fuggisse dall’Italia. Si è provveduto, malamente, ai più bisognosi con gli 80 euro e con il “reddito di reinserimento” (vuoi mettere l’impatto comunicativo rispetto al “reddito di cittadinanza”?). Questi provvedimenti, per altro modesti, sono stati realizzati a debito non potendo intaccare la distribuzione della ricchezza.

Il governo di destra (Lega- 5Stelle) ha adottato la stessa linea in modo più radicale e aggressiva sul piano della comunicazione (mi riferisco al tema della redistribuzione; ma un riflessione simile si può fare per tutti gli altri temi). Lo slogan del cambiamento è quanto mai falso: identica filosofia e logica sociale ma più ricca articolazione:

  • la ricchezza accumulata non si tocca, da questo punto di vista la riforma del sistema fiscale con la flat-tax, è una dichiarazione esplicita di questa fondamentale opzione. Si butta a mare ogni progressività fiscale, tra l’altro prevista dalla Costituzione (art.53).
  • creare un clima di accanimento e di odio contro specifici settori sociali dando il senso di un “far giustizia”. Tipico è il caso delle pensioni d’oro, talvolta una stortura da correggere, o gli stipendi della casta.
  • far mostra di colpire gli evasori, mentre si predispongono concreti e ampi condoni per rendere più facile la vita di chi ha accumulato ricchezza

I punti di forza, nell’ambito che qui interessa, sono la quota 100 per le pensioni e il reddito di cittadinanza. Due provvedimenti allo stato dei fatti necessari, e mi azzardo a dire di un riformismo di sinistra, ma per come realizzati, di destra. Perché non mettono in moto un redistribuzione della ricchezza, ma fanno aumentare il debito pubblico, non gravano sui detentori della ricchezza accumulata, ma graveranno sulle generazioni future. Che poi i meccanismi e le regole della Ue faranno in modo che questo debito aumenti anche perché i “mercati” (composti nel caso specifico anche da quelli sui quali non si è voluto intervenire) non si fidano della solidità del paese, dipende anche dall’incapacità di questo governo.

Il più giovane vicepresidente ha dichiarato di aver sconfitta la povertà (in realtà è stato più drastico, ma lasciamo stare). Può dirlo perché ignora da dove nasce la povertà e non conosce il funzionamento del nostro sistema economico-sociale. Non perché non ha studiato ma perché è disinteressato alla realtà, gli interessa l’immagine di sé e delle cose che propone.

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