L’Italia è di nuovo un laboratorio politico della destra, con l’avvio di una esperienza di governo che intreccia sovranismo identitario e ordoliberismo atlantista. L’impronta postfascista, già chiara nella scelta dei Presidenti delle Camere, è emersa nel discorso di Meloni ai deputati con la rivendicazione del percorso compiuto dai tempi non rinnegati di Alleanza nazionale fino all’ambigua adesione alla liberaldemocrazia. Con la condanna delle leggi razziali, ma anche della discriminazione verso la destra, ovvero l’antifascismo, continuazione dell’odio della “guerra civile”, ovvero della Resistenza. Più che le valutazioni sul passato sono i “valori” ispiranti l’azione del nuovo governo che segnalano una continuità, adeguata all’oggi per legittimare il postfascismo, ora “liberaldemocratico”, come padre della Costituzione di una nuova Repubblica.

Nazionalismo, autoritarismo, tradizionalismo in versione moderna si intrecciano con l’adesione all’indirizzo del rigore finanziario e dell’assoluta centralità dell’impresa. Massimo Giannini, citando Marx, ha sostenuto su La Stampa che questo Governo rassicura sul piano delle strutture, ovvero l’economia e le relazioni internazionali, ma promette tensioni sulle sovrastrutture dei diritti civili e sociali. In realtà, con gli occhiali di Gramsci viene chiaro l’intreccio tra i due piani, ovvero la riaffermazione della connotazione postfascista e l’adesione all’ordoliberismo atlantista e padronale. Perché con la crisi della globalizzazione l’ordoliberismo occidentale, ovvero la restrizione delle finanze degli Stati e la libertà di movimento dei capitali privati, è evoluto verso una maggiore regolazione sovranazionale dei flussi di capitali e di merci (sanzioni), nonché di una maggiore regolazione sociale (misure COVID).

Mentre la guerra garantisce la continuazione dello sviluppo attraverso produzione ed impiego di armamenti, e poi ricostruzione di ciò che s’è distrutto. Perde senso così la narrazione liberal della globalizzazione come matrice di una società aperta a livello europeo e mondiale con la libera mescolanza di persone, merci e culture, in contrapposizione ai sovranismi chiusi nell’egoismo identitario. Rispetto al nuovo ordoliberismo i connotati fondamentali del Governo Meloni presentano notevoli sinergie, una volta accettati i principi del sistema. Il nazionalismo sovranista si coniuga con l’atlantismo nel sostegno al conflitto con la Russia in Ucraina e nella maggiore spesa per armamenti, mentre indebolisce la coesione della UE rafforzando l’egemonia degli Stati Uniti sull’“Occidente”. La proposta autoritaria del semipresidenzialismo incrocia la linea di rafforzamento del potere esecutivo espressa dal neoliberismo fino alla tentata riforma costituzionale di Renzi, perché la “democrazia decidente” garantisce la funzionalità dell’azione dello Stato agli interessi del grande capitale nell’economia. E nella società assicura il mantenimento delle disuguaglianze relative tra gli strati più numerosi della piramide sociale e all’interno di questi.

Non è solo mettere i penultimi contro gli ultimi. È garantire identità e sicurezza contro gli “altri”, i “diversi”, i “contrari”, legittimando paure e fobie, come contropartita offerta dal nuovo governo ai ceti popolari a fronte dell’ulteriore impoverimento dovuto all’affermazione, nella crisi, degli interessi del grande capitale. Per mantenere il consenso non basterà raccontare della inevitabilità dei sacrifici, ma si cavalcherà il forte bisogno di identità e di sicurezza dei settori sociali culturalmente più arretrati. La Meloni è lucida, determinata e con le spalle coperte, ma si scontrerà con questa contraddizione di fondo. Il rigore di bilancio, tra la riduzione di tasse e contributi e la maggiore spesa per i combustibili e gli armamenti, le grandi opere, i sussidi alle imprese e alla natalità, significa forti tagli alla spesa sociale per sanità, scuola, assistenza. Un tasso d’inflazione elevato senza compensazioni significa ulteriori riduzioni del potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Al di là della prossima legge di bilancio, già scritta da Draghi, l’inadeguatezza delle soluzioni prospettate si coniuga col basso profilo della squadra di governo nel promettere una “tempesta perfetta”. La compressione dei diritti e delle opportunità di vita per la grande maggioranza delle persone produrrà lotte e contrasti che investiranno anche l’elettorato di destra. Ben poco potrà fare al riguardo questo Governo oltre alla propaganda. Dall’altra parte, per la sinistra, se è chiaro il “che fare” resta da capire “chi” dovrà farlo.