Necessità e urgenza da anni sono le parole d’ordine della legislazione anche dei paesi democratici in onore delle quali le dinamiche politico-parlamentari si riducono a questioni di fiducia, quelle pubbliche si assuefanno alla normalità delle eccezioni che diventano regola.
La necessità è una condizione nella quale un elemento, uno strumento, una risorsa o una determinata azione diventano indispensabili. L’urgenza esprime una necessità impellente o una condizione che, per determinati fattori, richiede di essere gestita con precedenza rispetto alle altre necessità per evitare che la condizione stessa peggiori.

Necessità e urgenza sono i requisiti fissati dalla nostra Costituzione per consentire al Governo di adottare decreti che per almeno 60 giorni diventano legge indipendentemente da come la pensino le Camere.
Il primo provvedimento del Governo più a destra della storia repubblicana non poteva che rispettare la tradizione patria del populismo penale e invocare la necessità e l’urgenza per introdurre l’articolo 434 bis del codice penale e sanzionare in modo esemplare l’invasione (di almeno 50 persone) di «terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».

Le lagnanze di partiti, sindacati, penalisti e costituzionalisti hanno «suggerito» una revisione della norma che ha portato al 633 bis con nuove pene che imputano la pericolosità dell’invasione all’accoppiata micidiale di musica e sostanze illecite.

Del decreto fanno parte misure riguardanti anche altre questioni, ma tutta l’attenzione mediatica è stata dedicata alle pene «anti-rave». Lo spunto per il provvedimento era infatti stato fornito da una serie di articoli di cronaca che avevano creato allarme per via di una festa dove 3000 persone si erano ritrovate per ascoltare musica e ballare. Come ampiamente dimostrato da video indipendenti e della polizia, non si era verificato alcun problema per l’ordine o la salute pubblica né per l’incolumità personale e i partecipanti avevano l’intenzione di lasciare come l’avevano trovato il capannone abbandonato che avevano usato fornendo aiuto a chi poteva avere problemi con le sostanze.

Non occorre pensarla anarchicamente o libertariamente, o esser figli o nipoti dei fiori, per individuare nell’ordine e la salute pubblica le tipiche giustificazioni delle istituzioni per affidare a limitazioni o divieti fenomeni ritenuti rischiosi, dannosi per la «collettività». Piuttosto che approfondire l’origine, la natura o la portata di ciò che si va a proibire, si impongono restrizioni arbitrarie perché venga percepito dal «popolo» che chi «comanda» agisce nell’interesse pubblico per non generare, o tollerare, allarmi sociali derivante da attività «fuori dalla norma».

Il Decreto Meloni-Piantedosi è solo l’ultima manifestazione di una politica che, da parte conservatrice o pogressista, è «contro la cultura dello sballo». Chi si è espresso pubblicamente ha evitato di prendere la parte dei raver perché, sotto sotto, li ritiene una minaccia al principio di autorità storicamente costruita su basi ideologiche e cooptazioni di obbedienze personali che hanno progressivamente costretto la circolazione delle idee in un pensiero unico sospettoso di tutto ciò che è anti-conformista o anti-convenzionale. Non è quindi un caso se nella conversione in legge si siano incluse musica e «droghe» per rendere ancora più grave l’invasione di campo. Niente di più pericoloso degli stati non ordinari di coscienza frutto di beats o molecole.

Il sistematico ricorso a situazioni di emergenza segnala che una democrazia non è più basata sullo Stato di Diritto ma, per l’appunto, su eccezioni che diventano le uniche regole su cui, tra l’altro, il supremo garante della Carta non eccepisce.

A metà dicembre sono previste mobilitazioni contro la legge «anti-rave», la prima è annunciata a Napoli sabato 17 dicembre: «Una street parade cittadina all’insegna della musica per cancellare le nuove proibizioni (…) a Napoli la contestazione si sta muovendo su più fronti: invece di dividerci, crew tekno, sound dub e reggae, centri sociali, collettivi, artist* e tutte le persone attaccate da queste politiche repressive locali e nazionali si stanno unendo per contestare questo decreto»…
Per cancellare le nuove proibizioni occorrerà da una parte continuare a far conoscere la cultura dei «free-rave», «feste» o «teknival» dall’altra andranno provocati incidenti di costituzionalità per la mancanza dei criteri di necessità e urgenza utilizzate per il divieto e per denunciare la sproporzionalità di pene per condotte che non creano vittime.