Rave e droghe: reprimere fa aumentare i pericoli
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Rave e droghe: reprimere fa aumentare i pericoli

Intervista Elisa Fornero, assistente sociale responsabile del progetto Neutravel, racconta la realtà dei Rave, dall'ottica di chi si occupa di riduzione del danno causato dall'assunzione di sostanze stupefacenti
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 10 dicembre 2022

«Le persone assumono sostanze per provare piacere, non per uccidersi. Se dai loro strumenti per limitare i danni li usano. I rave consentono una maggiore autoregolazione rispetto ad altri eventi analoghi», afferma Elisa Fornero, assistente sociale di 41 anni che dal 2010 si occupa di riduzione del danno. È responsabile del progetto Neutravel, nato dal partenariato tra la Asl Torino 4 e la cooperativa Alice onlus, che la regione Piemonte finanzia per intervenire principalmente nei free party.

Come fate ad arrivare nelle feste illegali?
La notizia circola via flyer. Negli anni ’90 erano attaccati in città, riconoscibili per le grafiche con sopra i nomi dei sound. Indicavano un meeting point e da lì una cartina. Altre volte c’era un’infoline. Ora il flyer gira nelle chat Telegram e Whatsapp. Data e zona sono approssimative, poi a un certo punto compare la geolocalizzazione.

E quando arrivate?
Cerchiamo un posto per essere più visibili possibile e montiamo la nostra area. Per noi è fondamentale posizionarci nelle vie principali della festa, che a volte cambiano tra mattina e notte o da un giorno all’altro, soprattutto per il servizio di drug checking. Cioè l’analisi delle sostanze. Vogliamo che le persone sappiano cosa c’è dentro prima di assumerle.

Come reagiscono consumatori e spacciatori?
Per l’analisi è sufficiente una quantità minima. È difficile capire se hai davanti qualcuno che usa o vende. Comunque le persone reagiscono molto bene: appena inizi a montare si avvicinano per chiedere le analisi. Le nostre non sono quantitative, sulla purezza. Ma qualitative: per capire se quello che hanno in mano è ciò che pensano.

Questo potrebbe incentivare i consumi.
No, perché non si analizza solo la sostanza ma si offre un servizio integrato. L’operatore, sulla base di uno script condiviso dai progetti europei, invita le persone a riflettere su ciò che stanno facendo. Quando una sostanza risulta diversa da quella attesa, perché tagliata o con un principio psicoattivo sconosciuto, il 60-70% dei soggetti rinuncia. Se invece l’analisi conferma le attese ma la consulenza mostra un consumo «critico», l’operatore stimola una riflessione. Molti prendono tempo, magari rinunciano all’assunzione. Relazione e confronto mitigano i rischi. Le persone non assumono sostanze per uccidersi, ma per provare piacere. Per questo quando dai loro strumenti per limitare i danni li usano. Così diminuiscono anche i pericoli per la collettività.

Cos’è la riduzione del danno?
A volte si crede sia ciò che arriva dopo il fallimento di prevenzione e cura, ma è qualcosa che sta tra prevenzione e trattamento. Provo a prevenire ma non ci riesco, perché la gente usa sostanze. Allora cerco di gestire la fase del consumo affinché non diventi dipendenza. Questa non dipende dalle proprietà farmacologiche ma dall’ambiente di vita e consumo, che grazie al drug checking può essere esplorato con maggiore facilità. Perché si parte da un dato concreto.

Le sostanze psicotrope circolano in diversi ambienti e classi sociali. Il consumo nei rave ha delle particolarità?
Non più. Almeno nel Nord Italia. La ketamina che prima caratterizzava queste feste ora viene assunta, in microdosi, anche durante gli aperitivi in città. Ormai il menu delle sostanze è simile in tutti i posti. L’mdma è la più usata. La cocaina è cresciuta. Nei free party non rileviamo tanto crack, mentre le strade di Torino ne sono piene.

Durata e carattere illegale dei free party non moltiplicano i consumi?
No, anzi consentono una maggiore autoregolazione. Facciamo un confronto. Nell’agosto 2021 al famoso teknival di Valentano, provincia di Viterbo, abbiamo avuto 120/150 crisi in cinque giorni. Tre persone sono state inviate in ospedale. In un festival di musica elettronica legale che si tiene nello stesso periodo dell’anno a Torino e ha un numero di partecipanti simile a quel teknival si contano circa 150 accessi al punto medico assistito. Ma in due soli giorni e con ambulanze che partono più frequentemente. Questo mostra che il tempo più dilazionato ha un impatto sul tipo di esperienza, anche con le sostanze. Inoltre i festival a un certo punto finiscono e vieni sbattuto fuori, mentre nei rave puoi riposarti prima di salire in macchina. Abbiamo anche notato che quando nei free party ci sono spettacoli, fuochi d’artificio e bancarelle il consumo di sostanze diminuisce. Se c’è solo il muro di casse che spara musica avviene il contrario.

Cos’è un’area chill out?
Tecnicamente il luogo dove vai a staccare e riprenderti. Per noi operatori è la zona dove montiamo i servizi di riduzione del danno. È divisa in una parte per la decompressione e un’altra per chi non si sente bene. Poi c’è il banchetto con i materiali informativi sulle sostanze e l’acqua per pulire il naso, le gomme da masticare, i succhi di frutta, le merendine, i preservativi. E quello per il drug checking. Pre-pandemia avevamo anche una zona sanitaria con due infermieri. Adesso abbiamo mantenuto il protocollo di intervento con il 112. Noi lo chiamiamo se riteniamo che qualcuno debba andare in ospedale, loro ci avvertono se ricevono segnalazioni. In quei casi nove volte su dieci il ricovero non serve. Così facciamo risparmiare sforzi ai pronto soccorso. Gli invii in ospedale non sono mai tanti. In 15 anni ho visto solo una ragazza rischiare davvero la vita: per una forte reazione allergica.

Le droghe fanno male. Perché lo Stato non dovrebbe reprimere iniziative in cui si vendono e consumano?
Perché è impossibile fermarne la circolazione. Anni di proibizionismo contro le 10 droghe classiche ne hanno fatte sviluppare altre 870 (dati dell’Osservatorio europeo droghe e tossicodipendenze). C’è mercato perché c’è richiesta, ma con i divieti chi consuma si nasconde. Così aumentano i rischi: le persone hanno paura di chiedere aiuto e noi non studiamo le nuove sostanze. La war on drugs ha fatto più morti di quanti ne voleva evitare.

Il nuovo decreto anti rave vi mette in pericolo?
Bisogna osservare come andranno le cose da un punto di vista politico e giuridico. Comunque i rave erano illegali anche prima.

Siete mai stati denunciati?
Sì, può capitare. A me è successo. A volte le forze dell’ordine si trovano semplicemente davanti a qualcosa che non capiscono. Noi mostriamo documenti e autorizzazioni ma non sempre ci credono. In ogni caso è difficile che l’azione penale vada avanti, lavoriamo con i permessi della regione.

Su che basi intervenite in situazioni illegali?
Intanto l’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute di tutte le persone. Poi il dpcm 12 gennaio 2017 che introduce la riduzione del danno tra i livelli essenziali di assistenza per chi usa sostanze. Questa norma nazionale disegna la cornice entro cui le varie regioni definiscono le azioni concrete. In Piemonte nel 2019 un decreto della giunta regionale ha stabilito che tutti i servizi di Neutravel sono riduzione del danno. Non puoi evitare che la gente usi sostanze ma puoi limitare rischi sociali e per la salute. Perché non farlo?

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