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Rancore (ancora sui figli e sui padri)

Rancore (ancora sui figli e sui padri)

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 luglio 2017

Sfoglio qualche giornale per trovare ispirazioni utili a riempire questo spazio. Nel caldo opprimente mi sembra ancora più noioso il fatto che al nuovo libro di Renzi siano dedicate paginate di anticipazioni su quasi tutti i quotidiani (è intitolato Avanti: le coordinate della politica non sono più quelle logore di destra e sinistra, ma le più moderne avanti e indietro. Con valenza anche temporale: in marcia verso il futuro! Il passato è da rottamare).

Non ho letto tutto ma alcuni giudizi mi sono sembrati ripetitivi e sbagliati. La sconfitta del referendum un errore tutto imputabile a chi ha votato No (dalla Stampa); la scissione nel Pd spinta unicamente da meschine ambizioni personali (dalla Repubblica). E poi tutto giusto, tutt’al più incompreso, quanto fatto al governo nei «mille giorni», e ancora più fantastico quello che Renzi propone per la prossima legislatura, cominciando da un taglio delle tasse a tutti (dal Foglio).

Vale la pena di interrogarsi sull’affezione psicologica chiamata narcisismo? Non so quanto il messaggio sarà capace di recuperare il credito perduto.

Leggo – sul Corriere della Sera – che il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, spesso indicato come possibile candidato alternativo alla leadership del paese, invita Renzi a lasciare da parte i toni della «rottamazione» e aprire quelli della «condivisione e della progettualità», formando una «squadra ampia», e avanza obiettivi programmatici ben diversi da quelli annunciati dal segretario del Pd. Un altro titolo parla degli apprezzamenti europei unanimi verso l’attuale premier Gentiloni, quindi «parte il dualismo con il segretario».

La legislatura volge al termine, è logico che la fila di chi si mette in gioco si allunghi, ma la strada davanti a Renzi non è in discesa nemmeno dalle sue parti.

Nelle pagine dei commenti Giuseppe De Rita si interroga sulle prossime elezioni – ormai ci tocca una campagna elettorale di otto o nove mesi, salvo imprevisti – : al rancore da tempo diffuso nelle pieghe della società e negli umori dell’elettorato, si affiancherà, e in che misura, il sentimento della nostalgia? Il padre del Censis preferirebbe che dal basso molecolare dell’Italia prevalesse proprio quella nostalgia (magari per cose che una volta funzionavano, come le Province, i partiti o i sindacati) che Renzi disprezza, e vincesse sul rancore che vede direttamente connesso alla domanda di una «personalizzazione della leaderhip».

La sociologia dei sentimenti individuali e collettivi ci riporta alla psicologia, e magari alla psicanalisi.

Su questo giornale Giovanni De Plato ha parlato in termini critici della relazione tra Renzi e Massimo Recalcati, uniti – se ho capito – da un equivoco politico-analitico sulla simmetria tra l’«assenza del Padre» e l’affermazione di un comando centralizzato dell’unico leader.

E se applicassimo alla situazione attuale della politica istituzionale la definizione di «filiarcato» (o fratriarcato), cioè l’unione dei fratelli che hanno ucciso il padre, che includono le donne solo se si omologano al nuovo regime, comunque maschile e persino peggiore quanto a cattivi sentimenti (e modi maleducati) del vecchio patriarcato? Era l’idea sul Sessantotto della femminista francese Antoinette Fouque, ricordata in due recenti scritti di Lia Cigarini e Chiara Zamboni sulla «pratica dell’inconscio».

Oggi il fenomeno riemerge in forme grottesche?

(I testi suddetti si trovano alla Libreria delle donne di Milano. Letture forse utili anche ai troppi maschi accalcati nel tentativo di dar vita a una sinistra più attraente).

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