Ragazzino ferisce due israeliani a Silwan. L’esercito invia rinforzi in Cisgiordania
Gerusalemme Nel quartiere a più alta tensione, Mohammed Aliwat, 13 anni, ha sparato contro coloni ferendone due. L'attacco è avvenuto a 12 ore dall'attentato a Neve Yaacov in cui sono stati uccisi sette israeliani.
Gerusalemme Nel quartiere a più alta tensione, Mohammed Aliwat, 13 anni, ha sparato contro coloni ferendone due. L'attacco è avvenuto a 12 ore dall'attentato a Neve Yaacov in cui sono stati uccisi sette israeliani.
Mohammed Aliwat ha solo 13 anni, poco più di un bambino. Ieri mattina poco dopo le 10, con in tasca una pistola, è uscito di casa nel suo quartiere, Silwan, e si è nascosto dietro un’automobile. Ha atteso il passaggio di un gruppo di israeliani e ha fatto fuoco ferendone due: un soldato di 22 anni non in servizio e suo padre di 47 anni. Entrambi sono in condizioni gravi ma stabili. Ferito non grave anche il giovanissimo attentatore, arrestato rapidamente dalla polizia che di solito presidia Silwan con decine di agenti. Questo quartiere ai piedi della città vecchia è uno dei punti di maggiore tensione tra coloni israeliani e abitanti palestinesi nel settore Est, occupato, di Gerusalemme. A Silwan, luogo dove secondo il racconto biblico sorgeva la cittadella di re Davide, il movimento dei coloni da oltre trent’anni porta avanti una lenta ma costante penetrazione. Gli scontri con gli abitanti palestinesi perciò sono quotidiani.
La tensione è ancora più alta in questi giorni per l’uccisione da parte della polizia di Wadih Abu Ramoz, un 16enne che avrebbe lanciato una molotov durante le proteste per il raid sanguinoso dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin in cui giovedì sono morti nove palestinesi tra cui un’anziana. Le autorità e buona parte dei media israeliani hanno descritto l’attacco di Mohammed Aliwat come il risultato «dell’istigazione alla violenza condotta dalle organizzazioni terroristiche» sui palestinesi più giovani. Per gli abitanti di Silwan invece i colpi sparati dal ragazzo 13enne sono la conseguenza dell’oppressione israeliana, soprattutto dei palestinesi più giovani, oltre che una reazione all’uccisione di Wadih Abu Ramoz, cugino di secondo grado di Aliwat. In rete accanto ai post di approvazione dell’attacco a Silwan qualche palestinese ha posto interrogativi sul possesso di una pistola da parte di un ragazzino.
La sparatoria a Silwan è avvenuta poco più di 12 ore dopo l’attacco armato compiuto venerdì sera da Alqan Khairi a NeveYaacov alla periferia nord di Gerusalemme. Le raffiche sparate dall’attentatore davanti a una sinagoga hanno ucciso sette israeliani e ferito numerosi altri, due dei quali restano in condizioni critiche: un ragazzo di 15 anni e un giovane di 24. Si è trattato dell’attentato più grave a Gerusalemme negli ultimi 15 anni. Tra i morti c’è anche una donna ucraina e da Kiev il presidente Volodymyr Zelensky ha espresso solidarietà alle vittime e condannato «il terrorismo ovunque, in Israele come in Ucraina». Il presidente israeliano Isaac Herzog da parte sua ha lanciato un appello alla coesione nazionale. «Attacchi del genere – ha detto Herzog – ci ricordano una semplice e dolorosa verità. Al di là dei dissensi che possiamo avere fra di noi, di fronte ai nostri nemici che vogliono farci del male dobbiamo mantenere la nostra unità». Parole che forse rappresentano un monito a non intensificare ulteriormente la protesta rivolto alle migliaia di israeliani che si riuniscono ogni sabato a Tel Aviv contro la riforma della giustizia avviata dal governo di estrema destra di Benyamin Netanyahu. In piazza Kaplan ieri la manifestazione di protesta è stata preceduta da un minuto di silenzio in memoria delle vittime dell’attentato a Gerusalemme.
Il governo è chiamato dagli ultranazionalisti ad agire subito con pugno di ferro contro i palestinesi. Netanyahu è sotto pressione e persino un leader della destra più estrema, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, è finito sotto accusa perché non avrebbe messo in atto le politiche radicali annunciate in campagna elettorale. La previsione di molti è che si andrà verso una escalation con l’aumento dei raid dell’esercito israeliano nelle città in Cisgiordania, in particolare a Nablus e nel campo profughi di Jenin, le roccaforti della militanza armata palestinese. Un altro battaglione dell’esercito è stato inviato in Cisgiordania e la polizia ha schierato a Gerusalemme anche le unità speciali Yamam che tra venerdì e sabato hanno arrestato oltre 40 palestinesi. A quanto si è saputo, saranno puniti i parenti di Alqan Khairi anche se non sono coinvolti nell’attentato. L’espulsione dei familiari degli attentatori, la chiusura delle loro case e la concessione facile del porto d’armi, sarebbero alcune delle misure che si attendevano ieri in tarda serata al termine della riunione del Consiglio di difesa presieduto da Netanyahu.
Dai Territori occupati fonti palestinesi riferiscono forti pressioni statunitensi ed europee sul presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen affinché condanni l’attentato a Gerusalemme e torni a cooperare con Israele nella sicurezza dopo l’interruzione annunciata in risposta alla strage a Jenin. Il presidente palestinese, per ora, non sembra intenzionato a fare retromarcia. E ieri in un comunicato ha accusato il governo di Israele di essere «pienamente responsabile di questa pericolosa escalation» a causa della sua «continua attività criminale contro il popolo palestinese che ha portato a 31 morti questo mese, così come la costruzione di insediamenti, l’annessione di terre, la demolizione di case, gli arresti, una politica di apartheid e la profanazione dei luoghi sacri e della Moschea di Al-Aqsa». Parole che raccolgono consenso tra i palestinesi e nelle città della Cisgiordania si rafforza l’unità tra Fatah, il partito di Abu Mazen, e le altre formazioni palestinesi. Sviluppi politici che il segretario di stato Usa Blinken intende bloccare in modo da persuadere la leadership dell’Anp a riprendere la collaborazione con Israele quando tra qualche giorno sarà in visita ufficiale a Gerusalemme e a Ramallah. Intanto l’Ue pur riconoscendo quelle che descrive come «le legittime preoccupazioni d’Israele in materia di sicurezza» esorta lo Stato ebraico ad usare «la forza letale» solo come ultima risorsa.
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