Economia

Quota 100 beffa per gli statali: dovranno aspettare agosto

Quota 100 beffa per gli statali: dovranno aspettare agostoUna sede dell’Insp a Milano – Foto LaPresse

Previdenza E per loro Tfr solo fino a 30mila euro La Fornero resta: norma «in via sperimentale». Con il sistema delle «finestre» i 6,7 miliardi iniziali si riducono a soli 3,9. Niente per giovani ed esodati

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 18 gennaio 2019

Il ministro degli Interni che illustra le norme sulle pensioni. Già questo basterebbe per spiegare quale attendibilità abbiano le parole di Salvini su Quota 100. E difatti i cinque minuti di spiegazioni del decreto che «manderà in pensione un milione di persone nei prossimi tre anni» – è pacifico che saranno molte di meno, forse la metà – sono un condensato di sparate e bugie degno corollario dell’inganno a cui sono stati sottoposti gli italiani fin dalle promesse di «cancellare la riforma Fornero», che invece resta tutta.

I beffati dell’ultima ora sono i dipendenti pubblici. Per loro, che rappresentano più di un terzo della platea di lavoratori di Quota 100 con 62 anni di età e 38 di contributi – circa 130mila su 355mila, secondo le stime del governo – l’assegno arriverà solo ad agosto. L’apartheid rispetto ai dipendenti privati che andranno in pensione dal primo aprile è prolungata dalla beffa sul Trattamento di fine rapporto o servizio (Tfr o Tfs): con una novità dell’ultima ora potranno godere di soli «30mila euro», annuncia Salvini gongolando. L’alternativa per averlo tutto era una sorta di mutuo con le banche su cui dovevano pagare gli interessi, come era stabilito nelle ultime bozze del decreto. Neanche la promessa del vicepremier – «c’è un percorso parlamentare, noi siamo ottimisti, e quindi nessuno esclude che durante il percorso la già soddisfacente cifra di 30mila possa salire fino a 40-45mila euro» – può comunque coprire l’intero Tfr di un lavoratore che ha versato 38 anni di contributi e quindi ha una media di Trattamento di fine rapporto molto superiore anche con stipendi medio-bassi.

IL CAPITOLO PENSIONI è rimasto relegato nella ultima parte del decreto, al Titolo II. I dodici articoli – dal 14 al 26 – non presentano particolari sorprese rispetto al meccanismo per Quota 100. Già alle prime righe cade il castello di carte di una norma fatta passare come «la cancellazione definitiva della Fornero». Il primo comma dell’articolo 14 recita infatti: «In via sperimentale per il triennio 2019-2021». Allo stesso modo poche righe sotto viene sbugiardata un’altra affermazione di Salvini correlata da slide nella conferenza stampa: «Stop scatti età: pensione non legata all’aspettativa di vita».

E INVECE ALLA SESTA RIGA SI LEGGE che «l’età anagrafica è successivamente adeguata agli incrementi alla speranza di vita», vero dogma intoccabile dell’austerità europea che il governo del cambiamento si guarda bene dal toccare. In questo modo anche i coefficenti che trasformeranno il montante contributivo in assegno sono quelli ritoccati al ribasso – proprio a causa dell’adeguamento all’aspettativa di vita – qualche settimana fa, peggiorando la situazione rispetto all’anno scorso.

Confermate anche le finestre – il tempo che passa dal raggiungimento del requisito alla reale uscita dal lavoro e all’erogazione del primo assegno di pensione –: tre mesi per i dipendenti privati, otto per quelli pubblici, nove per scuola e università. Ragion per cui il costo di Quota 100 nel 2019 si è dimezzato dagli iniziali 6,7 a soli 3,9 miliardi.

QUANTO SIA APPETIBILE Quota 100 per i fortunati pensionandi che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 38 anni di contributi – pochissime le donne, categoria più in difficoltà per i buchi contributivi a causa del carichi familiari di assistenza – è difficile da stimare. Il taglio implicito dell’assegno dovuto al minor montante contributivo figlio dell’uscita anticipata scoraggerà sicuramente molti: uno studio fatto con l’Inps misura su una pensione di 1500 euro una riduzione del 16%.
Continuano ad essere imbufaliti gli esodati: i 6 mila lavoratori che a ben otto anni dalla riforma più odiata dagli italiani sono ancora senza stipendio e senza pensione. L’altro vicepremier Di Maio aveva garantito la 9° salvaguardia per tutti, ma nel decreto non c’è neanche la parola «esodati».

Quanto a «opzione donna» -– la norma voluta da Maroni nel 2004 che permette alle lavoratrici di andare in pensione con 35 anni di contributi ma col ricalcolo interamente contributivo dell’assegno e quindi un taglio di circa il 30% – viene prevista solo per le dipendenti nate entro il 31 dicembre 1960», mentre l’«Ape sociale» – norma dei governi Pd che prevede un’indennità fino alla pensione per chi ha 63 anni di età ed ha svolto lavori gravosi – viene prolungata di un solo anno. Infine c’è la beffa per la «pensione di cittadinanza». La promessa di «aumentare le minime a 780 euro» varrà – parola di Di Maio – solo per «500mila pensionati» rispetto ai quasi 5 milioni che se la aspettavano.

Malmessi anche i dipendenti Inps. Avranno sulle spalle la gestione dei requisiti sia del reddito di cittadinanza che di Quota 100 e le assunzioni promesse non arriveranno a breve.

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