«Fare chiarezza» è l’appello che proviene da Lampedusa in relazione all’elevato numero di morti e ammalati per patologie tumorali e cardiache fra il personale in servizio sull’isola nella zona dell’aeroporto. Lo chiedono i lavoratori, i parenti delle persone decedute o ammalate, gli esperti, i giuristi.

Nell’aprile scorso il Sindacato Uilpa di Agrigento è entrato in stato di agitazione per richiamare l’attenzione sullo stillicidio di vittime fra il distaccamento di vigili del fuoco operante a Lampedusa fra il 1986 e 1998, quando a circa 400 metri dalla caserma collocata nel perimetro aeroportuale era attivo un potente radar installato dopo un attacco missilistico libico. Sono 7 i vigili del fuoco colpiti e uccisi da un tumore, 9 quelli ancora in vita, mentre altri 12 sono affetti da patologie cardio circolatorie. «Se consideriamo tutto il personale di altri enti in servizio nel perimetro aeroportuale, il numero dei decessi sale a 12 e i malati totali sono 31». A tenere questa triste contabilità è Antonello Di Malta, il segretario provinciale di Agrigento della Uil Fp, il primo a lanciare l’allarme con diverse note, fra cui una lettera inviata al sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco, in cui si chiedevano accertamenti sulle eventuali correlazioni tra le patologie sofferte dal personale e la vicinanza del radar. Richiesta rilanciata dalla senatrice palermitana del M5S Dolores Bevilacqua con un’interrogazione parlamentare sottoscritta da diversi altri senatori di altri partiti.

Un incontro fra tecnici e parti in causa avvenuto ieri ha messo a confronto le informazioni finora in possesso. Il punto è che servono dati. Lo ribadisce il fisico ambientale Massimo Coraddu, collaboratore esterno del Politecnico di Torino sui temi della radio protezione: l’esperto ha redatto una relazione sulla possibile esposizione prolungata e cronica subita dal personale dell’aeroporto a causa della vicinanza del radar e i connessi rischi per la salute. Si è però dovuto basare sulle caratteristiche tecniche di apparati militari simili, perché i dati relativi allo specifico Radar An-Fps-8 installato nel 1986 a Lampedusa non sono disponibili. Anche per quanto riguarda l’esposizione, ha dovuto ragionare su casi analoghi.

In base ai calcoli effettuati con i dati a disposizione, chi frequentava la caserma dei vigili del fuoco risultava esposto a livelli superiori alla soglia di sicurezza ed è verosimile che questa esposizione abbia creato problemi di salute. «Sono necessari approfondimenti: servono i dati in possesso dell’aeronautica militare, eventuali misurazioni, se le hanno fatte, e una ricerca epidemiologica mirata sulle persone esposte. Uno studio del genere oltretutto fornirebbe dati preziosi sugli effetti biologici dell’esposizione a lungo termine a campi elettromagnetici di bassa intensità».

La vicenda si inserisce nel contesto più ampio dell’inquinamento elettromagnetico a Lampedusa, dove sono attivi 6 radar, svariate antenne e un’antenna traliccio telecomunicazioni piazzata nel centro del paese, a pochi metri dall’asilo comunale: da più di 10 anni si richiedono studi volti a capire se vi sia una correlazione con l’elevata incidenza tumorale maschile, la più alta di tutta la regione Sicilia. Oltre a una richiesta di commissione parlamentare d’inchiesta, è in preparazione una causa civile per risarcimento e si procede con la raccolta autonoma di dati su base volontaria: i rischi maggiori sono il silenzio e la rassegnazione. «Come tanti non ho sostenuto le battaglie che si sono fatte in passato, e ho sbagliato» ammette Angela, la moglie di Luciano Brignone, uno dei vigili deceduti. «Solo adesso, purtroppo, ne ho capito l’importanza».