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Quel lungo dialogo a distanza con l’America

Quel lungo dialogo a distanza con l’America«L’ultimo imperatore» (1987)

Addio novecenteo La morte di Bernardo Bertolucci e il suo rapporto con il cinema americano. Lui era un punto di riferimento citato da Demme, Scorsese e Carpenter

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 27 novembre 2018

Gli occhi di Bernardo Bertolucci, riconoscibilissimi, ritagliati da una nota foto in bianco e nero, occupano un posto centrale nel bel manifesto dell’edizione 2018 del New York Film Festival. «Per noi Bernardo è un regista faro», mi aveva detto il direttore della fotografia Ed Lachman (autore del poster insieme all’artista JR); ci teneva molto che Bertolucci vedesse quell’immagine. Da Roma, il riscontro, affettuoso e personalissimo, era arrivato quasi subito – parte di quella conversazione con il cinema americano che Bertolucci ha intessuto da sempre. E non solo perché girava in inglese, amava usare grandi attori hollywoodiani ed è stato l’unico italiano a vincere un Oscar per la miglior regia.

QUASI COETANEO degli autori della Nuova Hollywood, Bertolucci era un punto di riferimento citato spesso nelle conversazioni con Martin Scorsese (Prima della rivoluzione rimane tra i suoi film chiave), John Carpenter (grande fan della sceneggiatura di C’era una volta il West ma anche di Ultimo tango a Parigi) e Jonathan Demme (che dava spesso i suoi film al Jacob Burns Center). Nelle parole della curatrice Jytte Jensen, responsabile della retrospettiva completa che il Museum of Modern Art gli dedicò nel 2012, in USA Bertolucci era più di un maestro italiano: «Per noi il luogo o il momento storico dell’Italia in cui Bertolucci sceglie di ambientare un film sono importanti, ma non quanto la comprensione che ha sempre dimostrato per la condizione dell’uomo moderno. In questo senso è un autore veramente ’internazionale’».

LUI STESSO, in occasione dell’inaugurazione di quell’omaggio, in un’intervista per questo giornale, mi aveva detto: «A me piace molto pensare che ci sia un dialogo a distanza tra registi americani e italiani. Che ci si rimandi la palla, avanti e indietro. E che ogni volta la palla aumenti di spessore, si arricchisca. Per esempio, Francis Coppola ha chiamato Storaro per la fotografia dei suoi film perché aveva visto I miei…Mi piace immaginare che siamo in contatto, e che ci arricchiamo uno con l’altro… Forse è una cosa che non tutti sanno ma, dopo l’uscita di Il Conformista, mi recai a Los Angeles, alla Paramount, che aveva prodotto il film in Italia. L’accoglienza critica era stata molto buona – e chiesi loro quando il film sarebbe uscito in America. Mi dissero che non avevano intenzione di mandarlo nei cinema. Un mese dopo, Coppola scrisse allo studio una lettera cofirmata da altri registi, chiedendo che fosse distribuito. Così furono obbligati a farlo. Così il film è diventato una specie di cavallo di battaglia di molti autori di quella generazione. Forse anche perché è il mio primo film di dialogo con il pubblico – I miei lavori degli anni sessanta erano molto “chiusi”. Ed era stato fatto sognando in particolare il cinema hollywoodiano degli anni Trenta». In occasione della retro, Bertolucci era particolarmente felice che La luna potesse essere rivisto. E La tragedia di un uomo ridicolo inaugurerà la settimana prossima la retrospettiva dedicata a Ugo Tognazzi dal Moma. Ma Io e te, il suo ultimo film, in USA non si è praticamente visto.

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