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Quei database che chiunque riesce a bucare

Quei database che chiunque riesce a bucare

Il caso Inchieste, complotti e presunti dossieraggi. Intesa San Paolo indagata a Bari. Intanto l’Anm chiede a Nordio un colloquio

Pubblicato circa un mese faEdizione del 15 ottobre 2024

La trama è avvincente, ma il senso generale della storia continua a sfuggire. L’inchiesta della procura di Bari sugli accessi abusivi ai database di Intesa San Paolo ha prodotto ieri l’iscrizione nel registro degli indagati dello stesso istituto bancario, colpevole di non aver vigilato sul comportamento del suo ex dipendente Vincenzo Coviello, che dal distaccamento di Bisceglie della filiale di Barletta prendeva informazioni su clienti di ogni ordine e grado: persone qualunque, ma anche politici, uomini dello spettacolo, sportivi, famosi e famosetti vari. I numeri sono abbastanza impressionanti: in due anni Coviello avrebbe compiuto indisturbato 6.637 accessi abusivi, controllando 3.752 clienti di 679 filiali diverse.

Lui, licenziato lo scorso agosto, continua a dire di aver agito da solo, senza mandanti. Gli inquirenti non gli credono e pensano che esista un secondo livello, ma, al di là delle tante ambiguità contenute nei racconti dell’indagato, di prove non ce ne sono.

Il punto è lo stesso dell’inchiesta di Perugia sugli accessi abusivi nei database dell’antimafia, sempre ai danni di migliaia di persone dall’estrazione più varia: politici in primis, e poi una schiera di cantanti, attori, calciatori e chi più ne ha più ne metta. Ci sono due indagati (il finanziere Pasquale Striano e l’ex magistrato Antonio Laudati) e non c’è dubbio alcuno che gli archivi informatici siano stati violati, ma ogni voce sulla composizione di dossier continua a non trovare elementi concreti a suo supporto. Magari arriveranno, ma sin qui l’ipotesi del grande complotto vive solo e soltanto grazie alle dichiarazioni dei parlamentari della maggioranza e agli articoli dei giornali di destra. C’è chi vede un filo che unisce tutte le trame: dal caso Sangiuliano alle voci su Arianna Meloni, dai malumori di Crosetto (da una cui denuncia è partita l’indagine di Perugia) sui servizi segreti non abbastanza collaborativi alle smentite del sottosegretario Mantovano, che invece continua a ripetere che non c’è alcun problema con gli apparati di sicurezza della Repubblica, passando per Giorgia Meloni che nelle chat interne a Fratelli d’Italia si lamenta dei traditori presenti nel suo partito. Tutto si regge su un insieme di non detti, speculazioni, retroscena e smentite (cioè di notizie date due volte). Il sottinteso è che qualcuno starebbe tramando nell’ombra contro il governo, alla ricerca di qualcosa in grado di farlo cadere.

L’unico dato reale emerso, però, è un altro. Forse pure più preoccupante delle ipotetiche congiure: il racconto di quello che sta accadendo tra Perugia e Bari dimostra che i database investigativi e bancari sono fragilissimi, tanto che basta il semplice impiegato di una non centralissima sede pugliese di Intesa-San Paolo per estrarre enormi quantità di informazioni sensibili. Pochi giorni fa c’è stata poi l’ennesima dimostrazione di quanto il sistema di archiviazione e gestione dei dati sia in generale debole, con l’arresto dell’hacker Carmelo Miano, che dal salotto della casa dei suoi genitori a Gela, parole della Digos, «aveva messo sotto il suo potenziale controllo l’intero novero di sistemi informatici del ministero della Giustizia». Come? Con un computer portatile.

Anche per questo, sempre ieri, l’Anm ha inviato una lettera a Nordio: «La percezione – sostiene il presidente Giuseppe Santalucia – è che non siano per nulla adeguati i presidi di sicurezza informatica della intera rete giustizia e sarebbe utile per l’Anm, su cui si convogliano gran parte delle diffuse preoccupazioni, avere qualche informazione, nei limiti del possibile, che possa rassicurare o comunque dare la corretta dimensione del fenomeno, descritto mediaticamente in termini allarmanti».

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