Ogni tanto lo sport accelera, va più veloce della società annunciando importanti trasformazioni in arrivo. L’orologio della storia gira freneticamente quando la meglio gioventù in palestra, sui campi di calcio e sul tartan si spinge a chiedere rispetto, giustizia e libertà, schierandosi in maniera netta e affrontandone le dure conseguenze. È accaduto il 16 ottobre del 1968 con Tommie Smith e John Carlos, simboli della protesta pacifica per i diritti civili degli afroamericani – il pugno chiuso in alto nel guanto nero – alla premiazione della gara dei 200 metri (Smith finì primo stabilendo il record del mondo con 19’83) alle Olimpiadi del Messico. Succede ancora oggi quando la nuotatrice iraniana Asra Panahi, enfant prodige vittoriosa a 16 anni, si rifiuta di cantare un coro in onore dell’ayatollah Ali Kamenei e verrà pestata a sangue dalla «polizia morale», una morte simile a quella di Mahsa Amini, la ragazza del Kurdistan uccisa per una ciocca di capelli fuori posto o di altre teenager come la piccola Nika Shakarami, scomparsa durante uno dei cortei nella capitale Teheran, che si chiudono con il rogo dei tanti hijab, il velo, che quelle donne non vogliono portare più.

QUESTI COLPI alla discriminazione e al fanatismo vengono raccontati in Il prezzo da pagare (Edizioni il Foglio, pp. 224, euro 14 con una splendida prefazione di Rosy Bindi), «storie di donne e uomini ribelli, quando lo sport diventa lotta per i diritti umani e civili». Una serie di trenta ritratti di personaggi dell’universo sportivo, messi assieme da Stefano Tamburini, giornalista ed ex direttore Agl, con l’intento di recuperare e narrare queste vite esemplari per passarle alle prossime generazioni, per sostenere un impegno di tutti per la difesa di diritti umani che oggi appaiono consolidati eppure conquistati, nel tempo, con lotte impervie.

«DOMANI O VAI AL TAPPETO o ti impiccheremo. Firmato: Ku Klux Klan». Il terribile avvertimento per Jack Johnson, il primo pugile nero a diventare campione del mondo dei pesi massimi, nel 1908, simbolo dell’orgoglio afroamericano anche per il suo stile di vita gaudente, tra automobili di lusso, champagne, sigari e donne bianche, preferibilmente bionde. Johnson, come Alfonsina Strada, la prima e unica donna che riesce a correre il Giro d’Italia di ciclismo insieme con gli uomini, nel 1924 in piena epoca fascista, con la stessa caparbietà della velocista Ondina Valla, prima medaglia d’oro al femminile della storia olimpica italiana, straboicottata in patria o di Hassiba Boulmerka, una mezzofondista d’Algeria che avrebbe voluto solo correre, vincendo la medaglia olimpica nel 1992, condannata a morte dei fondamentalisti islamici («perché correva con braccia e gambe scoperte»).

Insieme a queste vicende più note, ce ne sono molte, emozionanti e sconosciute, come quella di Sohn Kee-Chung, orgogliosamente coreano, vincitore della maratona a Berlino 1936, ma l’ordine di arrivo riporta un altro nome: Son Kitei, che è il suo con grafia e fonetica giapponese, la nazione che ha invaso il suo Paese. Sohn combatterà a lungo, nel dopoguerra, per vedere riconosciuta la sua nazionalità e il suo valore. E il giorno di gloria di Jason McElwain, un ragazzo autistico, grande appassionato di basket, che viene mandato in campo dai compagni del team studentesco Greece Athena High School e abbatte il pregiudizio segnando 20 punti nell’incontro, diventando una star nazionale. O il doping di stato nella ex Ddr, coi sogni di Heidi Krieger, la giovane pesista che viene alimentata a steroidi e alla fine per salvarsi dovrà cambiare sesso e diventare Andreas. Sfilano poi Bruno Neri, Alice Coachman, Rino Dalla Negra, Sandor Szucs, Geza e Istvan, Peter Norman, Vera Caslavska, Arthur Ashe, Billie Jean King, Gibb e Switzer, Carlos Caszely, Astutillo Malgioglio, Michèle Mouton, Socrates, Lutz Eigendorf, Derartu e Elana, Cathy Freeman, Hakan Sukur, Anna Muzychuk, Maya Moore, Kunia Alizadeh, Krystsina Tsimanouskaya e il campione di una storia ancora in svolgimento, Lewis Hamilton.

TUTTE VICENDE accattivanti, scritte con uno stile sobrio, con le loro sfide alle convenzioni, mettendosi «dalla parte giusta» della storia, presenti nei ricordi collettivi di più individui che in quanto battaglie di civiltà e dignità meriterebbero di essere ascoltate e studiate sui banchi di scuola.