Visioni

Quando la Turchia era laica, «l’epoca perfetta della mia gioventù religiosa»

Quando la Turchia era laica, «l’epoca perfetta della mia gioventù religiosa»Una scena da «Yurt»

Venezia 80 Il regista Nehir Tuna racconta «Yurt», in concorso a Orizzonti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 agosto 2023
Nehir Tuna

Cos’è accaduto prima che una determinata realtà si cristallizzasse in una sorta di eterno presente dal quale è poi apparso impossibile evadere? È una domanda alla quale, in un certo senso, ha risposto Nehir Tuna con la sua opera prima Yurt («Dormitorio»), in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia. Il regista turco che si è formato professionalmente e artisticamente negli Stati uniti, ha raccontato la storia di un ragazzo, Ahmet, diviso tra un’educazione scolastica secolarizzata e un collegio (Yurt, appunto) nel quale i più giovani sono sottoposti a un forte indottrinamento religioso. Una vicenda ambientata nel 1996, quando Recep Tayyip Erdogan poteva al massimo essere sindaco di Istanbul e doveva fare i conti con il laicismo di uno stato inflessibile a ogni tipo di deriva islamica. Di lì a poco, sappiamo, le cose sarebbero cambiate.
Il film di Tuna, col suo bianco e nero che a un certo punto si colora, ricco di movimenti circolari, di armonie faticosamente ricercate attraverso un montaggio durato dieci mesi, e di musiche (tra le quali Ma che freddo fa di Nada), ha una forte impronta personale, dovuta anche al carattere parzialmente autobiografico della storia, in grado di inquadrare un’epoca partendo da traiettorie individuali che solo in controluce rivelano qualcosa di più ampio e riconoscibile.
In attesa della proiezione ufficiale fissata per il 2 settembre, abbiamo incontrato il regista.

Perché hai scelto di ambientare il tuo film a partire dall’autunno 1996?

Era un’epoca perfetta. Quel periodo è stato importante per la Turchia. Vi era una forte contrapposizione tra le autorità secolari e gli islamisti. Con i primi che in quel momento esercitavano molta pressione sui secondi. Queste tensioni le ho usate per creare una dialettica tra i miei personaggi. Ma non solo. Quel periodo corrisponde anche alla mia gioventù. Io stesso ho soggiornato in un dormitorio religioso. Potevo quindi raccontare una storia decisiva per il mio paese con un carattere autobiografico.

Doga Karakas, l’attore che interpreta Ahmet e che è nato nell’epoca di Erdogan, come si è avvicinato a questo personaggio e a un tempo che poteva apparirgli così remoto?

Doga per ora non ha visto altro governo che quello di Erdogan. Quindi non aveva un’idea precisa di quel periodo. Abbiamo avuto molte conversazioni su come fosse prima. Non è stato però difficile per lui calarsi in quel ruolo. È un ragazzo molto intelligente. Aggiungo che Doga è diverso dal personaggio che ha interpretato e che inizialmente avevo immaginato. Non è cresciuto in una famiglia conservatrice. Non ha avuto contatti con alcun tipo di religione. Ad esempio, gli ho dovuto spiegare cosa potesse significare stare lontano dalla famiglia e soggiornare in un collegio. Lui ha avuto un’infanzia relativamente felice e un buon rapporto con i suoi genitori. La realtà di Ahmet era un’esperienza inedita. Infatti, quando l’ho incontrato la prima volta, avevo pensato a lui come ad Hakan, l’amico di Ahmet. Anche perché, nella mia idea, Ahmet doveva essere più giovane, più o meno un quattordicenne. Gradualmente mi sono convinto che potesse essere Ahmet perché entrambi hanno lo stesso tipo di innocenza. Mi ha colpito a tal punto il suo modo di essere, che ho finito per adattare il personaggio all’attore.

Idealmente, nel film, ai poli opposti troviamo il padre di Ahmet, che impone al figlio la frequentazione del collegio religioso, e Hakan, l’amico che conosce proprio nel dormitorio e che rappresenta una specie di spirito libero.

Per certi versi, il padre e l’amico sono personaggi fondamentali e simili nel loro ruolo. L’amore che Ahmet desidera ricevere da entrambi lo porta a voler essere diverso da quello che in realtà è. L’intera costruzione del film, dalla fotografia al montaggio e tutto il resto, è un modo per mettere in contatto questi due personaggi e per mostrare come progressivamente Ahmet sia entrato in contrasto con loro.

Da questo punto di vista, non esprimi una netta preferenza per l’uno o per l’altro. E nemmeno per i due cosiddetti sistemi.

Nel film cerco di mettere a confronto due sfere, quella secolare e quella religiosa. E queste due fazioni lottano per conquistare i cuori e le menti dei giovani. Non mi interessava raccontare quale risultasse poi vincente. Ahmet è attaccato sia dai laici sia dai religiosi. Quando cresci in un contesto oppressivo, puoi continuare a essere una vittima o cercare un modo per non esserlo più. Ahmet, secondo me, anche se apparentemente sembra cedere, è in grado di liberarsi interiormente e di rendersi immune.

E dunque oggi come immagini Ahmet?

Voglio raccontare il seguito di questa storia nel mio secondo film. Sto pensando se riuscirà a ristabilire una relazione con suo padre dopo le tante esperienze maturate. E alla fine, secondo me, troverà una via per sopravvivere e realizzarsi.

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