Come un rullo compressore Benyamin Netanyahu ieri sera, durante un faccia a faccia carico di tensione, ha imposto il silenzio al ministro della difesa Yoav Gallant spegnendo una delle rare voci nel suo partito, il Likud, che si sono levate a favore di uno stop o almeno di un compromesso sul progetto di riforma giudiziaria avviata alla Knesset dal governo di estrema destra religiosa in carica da meno di tre mesi. Gallant che aveva chiesto di una riflessione di fronte ai riflessi negativi che la spaccatura nel paese sta avendo sulle Forze armate. E aveva minacciato le dimissioni. Invece dopo il colloquio con il primo ministro è rimasto in silenzio. Netanyahu – che questa mattina prima dell’alba è partito per Londra – al contrario si è rivolto in diretta tv alla nazione e, perentorio, ha dichiarato che il suo governo non fermerà il blitz legislativo. Soprattutto ha annunciato che d’ora in poi sarà direttamente coinvolto nella attuazione della riforma nonostante la sentenza del procuratore generale dello stato Gali Baharav-Miara sul conflitto di interessi.

Il suo categorico annuncio è figlio anche del voto di mercoledì notte della Knesset che, con 61 voti a favore e 47 contrari, ha trasformato in legge il provvedimento proposto dal governo che impedisce alla Corte suprema di dichiarare «non idoneo» alla sua carica un primo ministro in costanza di mandato. Per molti è questo il primo atto definitivo del «golpe giudiziario» perché si tratta di una legge ad hoc per Netanyahu. Il premier, infatti, poteva essere considerato in conflitto di interessi con la riforma giudiziaria poiché è sotto processo per corruzione. Con la nuova legge, un primo ministro in Israele potrà essere rimosso solo per impedimento fisico o mentale dal 75% dei ministri dell’esecutivo e, in caso di rifiuto del premier, almeno dal 75% della Knesset.

Le parole di Netanyahu hanno accresciuto la rabbia delle centinaia di israeliani che continuano le proteste contro la riforma giudiziaria. Anche ieri, il «Giorno della paralisi», hanno tenuto sit-in sotto le abitazioni di ministri, cortei, blocchi stradali a Tel Aviv, Ashdod, Gerusalemme, Ranaana, Petah Tikva e altre città. Non sono mancati scontri con la polizia che ha caricato e picchiato i manifestanti in più occasioni e compiuto un centinaio di arresti. Tra quelli fermati anche Shikma Bressler, tra gli organizzatori delle proteste. Bersagliato dalle critiche è stato in particolare Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas ed ex ministro della sanità e dell’interno condannato più volte per reati fiscali. Deri è stato fatto dimettere dalla Corte suprema ma una legge proposta dal governo in corso di approvazione in Parlamento dovrebbe reinsediarlo presto nell’esecutivo. Bersaglio di accuse sono stati anche il deputato Simha Rothman, a capo della commissione parlamentare costituzionale, e il ministro della giustizia Yariv Levin. Intanto all’interno della maggioranza cresce il numero di deputati e dirigenti di partito che chiedono le dimissioni del ministro della difesa Gallant che accusano di «tradimento».

Migliaia di manifestanti sono arrivati ieri sera ​​anche a Bnei Brak, cittadina alle porte di Tel Aviv abitata da ebrei religiosi ortodossi. Davanti al corteo un grande cartello con la scritta: «Il tuo rabbino si vergogna di te». Gli organizzatori delle proteste hanno spiegato di voler mobilitare gli ebrei haredim (timorati) contro la riforma e in un comunicato distribuito alla popolazione hanno scritto che «la leadership ultraortodossa sta guidando una riforma che distruggerà l’economia israeliana, l’esercito e porterà a una profonda spaccatura nella nazione. Siamo venuti a tracciare una linea rossa davanti a quelli che sono complici di chi vuole schiacciare la democrazia». In serata, in risposta al corteo che ha attraversato Bnei Brak, le leadership del partito Shas e di Degel Hatorah, una componente del partito del Giudaismo della Torah, hanno proclamato che «resteranno sempre con Netanyahu, qualsiasi decisione prenderà il primo ministro».