Tutto indica che l’arresto del presidente della Confederazione di nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie), Leonidas Iza, nell’ambito del «paro indefinido» in corso in questi giorni contro il governo di Guillermo Lasso, non farà che radicalizzare le proteste.

Era da mesi che la Conaie minacciava una mobilitazione contro l’esecutivo, sordo a tutte le richieste della popolazione. E alla fine ha mantenuto la parola proclamando, a partire da lunedì scorso, una protesta senza data di scadenza destinata a paralizzare il paese – i blocchi stradali interessano già dodici province –, e a cui si stanno aggiungendo molte altre organizzazioni sociali, a cominciare dai movimenti degli studenti.

PREOCCUPATO da una replica della grande rivolta dell’ottobre del 2019 contro il pacchetto di misure anti-sociali sollecitato dal Fondo monetario internazionale, il presidente Lasso ha subito parlato di dialogo: un invito che, nelle ultime mobilitazioni di massa registrate in America latina si è sempre rivelato uno strumento ingannevole per prendere tempo e sfiancare i manifestanti.

Tanto più che, mentre Lasso allungava una mano per offrire la carota, il ministro dell’Interno Patricio Carrillo agitava il bastone evocando, a proposito delle proteste, uno scenario «di strade e pozzi petroliferi bloccati, sequestri di poliziotti e militari, saccheggi e via dicendo»: «Lo maschereranno da lotta sociale per giocare il ruolo di vittime», aveva twittato sabato scorso il ministro, su cui pesa già una denuncia per crimini di lesa umanità proprio in riferimento alle violazioni dei diritti umani durante la rivolta del 2019.

Parole, quelle di Carrillo, interpretate dalla Conaie come un annuncio di repressione, tanto più gravi in quanto la Costituzione garantisce il diritto alla protesta e alla resistenza sociale. Né era stato da meno il sindaco di Quito, Santiago Guarderas, annunciando che non avrebbe consentito «un altro ottobre 2019».

NELLA TRAPPOLA del dialogo la Conaie, però, non ci è cascata: «Due processi negoziali sono stati avviati durante il primo anno di governo», ha ricordato Iza prima del suo arresto, e non hanno condotto a nulla. «Presidente, non si prenda gioco del dialogo: questo popolo non si è sollevato per sedersi a un altro tavolo, bensì perché lei risponda pubblicamente alle richieste avanzate».

Vale a dire, dieci rivendicazioni che vanno dalla riduzione del costo dei combustibili alla garanzia di prezzi giusti per i prodotti dei campi, da un’azione di contrasto alla flessibilizzazione del lavoro fino alla destinazione di fondi al sistema sanitario, dal sostegno all’educazione alla lotta contro la criminalità e il narcotraffico, dal no alla privatizzazione dei servizi strategici a una moratoria sull’ampliamento della frontiera estrattivista mineraria e petrolifera, con interventi di riparazione integrale rispetto ai danni socio-ambientali arrecati.

Non sono parole, insomma, ma azioni quelle che esige la Conaie. Tuttavia, l’unica azione di cui è stato capace finora il governo è stata quella di annunciare la cattura degli «autori materiali e dei mandanti degli atti violenti commessi durante la mobilitazione», a partire proprio da Iza, arrestato all’alba di ieri nella provincia di Cotopaxi, mentre si trovava tra i manifestanti.

L’ACCUSA: «RIBELLIONE» e «interruzione di pubblico servizio». «Ora tocca alla Procura e al potere giudiziario intervenire perché nessuno è al di sopra della legge: gli ecuadoriani non possono essere vittime di vandali interessati solo a provocare il caos», ha tuonato Guillermo Lasso.

E per tutta risposta la Confederazione ha invitato a «radicalizzare le misure di fatto a favore della libertà del nostro massimo leader e della dignità della nostra lotta».