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Proporzionale o Italicum 2: i paletti dei giallo-rossi

Proporzionale o Italicum 2: i paletti dei giallo-rossiUrna elettorale

Riforme Primo vertice di maggioranza sulla legge elettorale. Escluse solo le opzioni che già non erano sul tavolo. Il Pd non ha ancora una linea e ripropone il doppio turno nazionale sul modello del sistema voluto da Renzi e già bocciata dalla Corte costituzionale

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 14 novembre 2019

Il vertice di maggioranza sulla legge elettorale è servito a confermare l’intenzione di presentare un testo condiviso di riforma. C’è adesso un intervallo di date: la nuova proposta, assicurano i rappresentanti di M5S, Pd, Leu e Italia viva dopo un incontro di due ore con il ministro D’Incà, sarà «incardinata in commissione alla camera tra il 16 e il 20 dicembre». Dunque un mese prima dell’udienza in cui la Corte costituzionale deciderà sull’ammissibilità del referendum proposto dalla Lega, che punta a un sistema tutto uninominale. Ma sul contenuto di questa annunciata proposta di legge elettorale della maggioranza il vertice non ha fatto molti passi in avanti. Ha solo concordato di escludere due alternative estreme: il sistema proporzionale puro «senza correttivi», non proposto da alcuno, e un sistema tutto uninominale maggioritario, che è appunto la proposta di Salvini.

All’interno delle ipotesi considerate percorribili dai giallo-rossi c’è ancora molta indecisione. E c’è anche dentro il Pd, che infatti ha insistito per tenere sul tavolo due ipotesi: una legge proporzionale con alta soglia di sbarramento (5%) e un doppio turno nazionale che ricorda il vecchio Italicum. Senza far cadere del tutto neanche il modello spagnolo, che in fondo è un sistema proporzionale dove le alte soglie di sbarramento sono determinate dai collegi molto piccoli. Tanto che negli ambienti di governo si poteva raccogliere questo commento, al termine del vertice: «Non abbiamo capito perché il Pd abbia insistito tanto per questo incontro visto che ancora non si sono chiariti le idee tra loro».

Il sistema proporzionale a turno unico con una soglia «importante» – calata nella realtà italiana dove alle ultime elezioni è bastato uno sbarramento al 3% per limitare a sei liste l’accesso al parlamento – al momento è in maggioranza nella maggioranza. Lo preferiscono i 5 Stelle, non per decisione ufficiale ma è certamente questo l’orientamento prevalente. Lo preferisce dichiaratamente Leu: «Occorre garantire con norme adeguate il pluralismo politico e territoriale, un obiettivo che può essere meglio raggiunto con un sistema elettorale fondato sulla formula proporzionale con i necessari correttivi», dice il capogruppo Fornaro. Dopo il taglio dei parlamentari, il proporzionale a turno unico è il solo che può consentire un certo recupero della rappresentatività. Quanto a Renzi, continua a dichiararsi per il maggioritario ma la linea politica e soprattutto i sondaggi consigliano anche a Italia viva un silenzioso appoggio al proporzionale a turno unico.

Dall’altra parte resta il Pd. La soluzione del ballottaggio nazionale su un impianto proporzionale consente al partito di rinviare il redde rationem tra i proporzionalisti (Orlando, Orfini) e i nostalgici del bipolarismo, tra i quali ci sono gli ingombranti padri nobili (Prodi, Veltroni). Della riunione di direzione sull’argomento, annunciata da Zingaretti, si sono perse le tracce. Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato Pd, tiene aperta l’opzione a turno unico ma non nasconde la sua preferenza per «un sistema con premio di maggioranza alle coalizioni analogo a quello in vigore nei comuni medio grandi». Una legge elettorale come quella dei sindaci era lo slogan con il quale Renzi spingeva l’Italicum, tre anni fa. La legge elettorale che il mondo avrebbe dovuto copiarci e che è stata bocciata dalla Corte costituzionale prima di essere mai utilizzata. Il doppio turno nazionale rischia di riproporre quelle incostituzionalità, visto che nella sentenza 35 del 2017 la Corte aveva giudicato eccessivo il premio di maggioranza teoricamente attribuile a una lista che al primo turno non aveva raggiunto il 40% (soglia invece prevista per assegnare il premio al primo turno). Rischio che può ripetersi anche se nella nuova legge sarebbero consentiti, ma non certo imposti, gli apparentamenti tra primo e secondo turno. Il secondo turno nazionale è in sostanza una competizione per formare il governo, tra due candidati premier, che cozza con l’assetto parlamentare della Repubblica e piega «il valore costituzionale della rappresentatività», compito «primario» di ogni legge elettorale secondo la stessa sentenza della Consulta. Ma i fan del doppio turno hanno una carta nella manica per tentare le liste minori: una soglia di sbarramento più bassa di quella prevista per il turno unico. Il che aumenterebbe i rischi di coalizioni “arcobaleno”, alla faccia della governabilità – ma questo è un altro discorso.

La maggioranza ha stabilito di vedersi ancora due volte nelle prossime due settimane.

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