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Profilazione razziale, la causa contro la polizia al Consiglio di Stato francese

Profilazione razziale, la causa contro la polizia al Consiglio di Stato francese – Foto Ap

Francia Il dossier di Amnesty e Human Rights Watch. Secondo le ong le autorità temono una rivolta delle forze dell’ordine

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 settembre 2023

La polizia francese controlla le persone sulla base dell’apparenza fisica. Sei ong e diverse organizzazioni, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, supportate da uno spesso dossier di testimonianze, hanno interrogato il Consiglio di stato, contro la «pratica umiliante e degradante» della profilazione razziale. Le autorità hanno «mancato agli obblighi», lasciando «sviluppare questa pratica» che sta favorendo una «cultura di controlli sull’apparenza fisica», afferma l’avvocato delle ong, Antoine Lyon-Caen.

Lo scopo della denuncia è obbligare lo stato a «prendere delle misure» contro questo «flagello». Lyon-Caen spiega: «Bisogna far capire che queste persone, tutto è documentato, a partire dall’età di 12 anni, hanno come visione dell’autorità colui che li controlla una volta al giorno, una volta alla settimana, l’autorità pubblica diventa quella che li opprime perché il primo contatto con l’autorità pubblica è con il poliziotto che effettua il controllo senza ragione». Le conseguenze sono gravi, perché fomentano «sfiducia, diffidenza, frustrazione, si crea un clima deleterio tra popolazione e polizia».

In un Rapporto del 2017, il Difensore dei diritti aveva messo in evidenza che un giovane uomo «percepito come nero o arabo» aveva 20 volte più possibilità di essere controllato che il resto della popolazione. Per l’attuale Difensore, Claude Héron, questi controlli sono «uno degli elementi del contesto esplosivo» all’origine della recente rivolta delle banlieues, dopo la morte del giovane Nahel. «Oggi un giovane che si fa controllare e ritiene di essere vittima di discriminazione non ha nessuna possibilità di fare ricorso», sottolinea Claude Héron.

La richiesta di lunga data delle ong è di introdurre in Francia una ricevuta obbligatoria in seguito a ogni controllo, per evitare il ripetersi dell’operazione e chiedere le ragioni di questo atto: è la soluzione adottata in Gran Bretagna, dove nel passato ci sono state denunce e un iter simile a quello ora in corso in Francia. Proposta in discussone ai tempi del governo del socialista Manuel Valls, poi scartata. Due presidenti, Hollande e Macron, hanno ammesso l’esistenza della pratica della profilazione razziale. Emmanuel Macron ne ha fatto riferimento il 4 dicembre 2020, in seguito al fermo violento di un produttore musicale, Michel Zécler. Per l’avvocato Lyon-Caen, la ragione di questo diniego sta nel fatto che le autorità francesi hanno «paura di una rivolta della polizia». È come se «questa polizia», spiegano gli esperti Christian Mouhanna e Olivier Cahn, avesse «convinto il governo che la sua tenuta dipende solo» dalle forze dell’ordine.

Dopo l’incarcerazione preventiva di due poliziotti in seguito all’uccisione di Nahel e la repressione della rivolta nelle banlieues, i sindacati dominanti delle forze dell’ordine hanno ingaggiato un aperto braccio di ferro con il governo, per protestare contro l’autorità giudiziaria accusata di imporre una «presunzione di colpevolezza» per i poliziotti. Il capo della polizia, Frédéric Veaux, li ha difesi, il ministro degli Interni, Gérald Darmanin ha detto di capirne la «collera». I sindacati Alliance e Unsa-Police, in piena rivolta delle banlieues, hanno espresso chiare minacce: siamo «in guerra» contro «orde selvagge» di esseri «nocivi» e pronti a «fare il nostro dovere».

Nel tentativo di mettere fine alla crisi, Emmanuel Macron ha ricordato che «nessuno è al di sopra della legge», parole accolte negativamente dai sindacati di polizia che già avevano mal digerito la prima reazione del presidente alla morte di Nahel, giudicata all’Eliseo un «atto inesplicabile», «ingiustificabile». Persino l’Onu ha espresso inquietudine per le accuse ricorrenti di razzismo, molti casi specifici sono sotto inchiesta. Ci sono già sentenze (Cassazione, Corte d’Appello) contro questi controlli: «discriminatori», una «colpa grave» dello Stato.

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