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Professione cecchino

Professione cecchinoUn soldato ucraino sul fronte di Pokrovsk – Evgeniy Maloletka/Ap

Il limite ignoto «Non è come uno se lo immagina: non ti annoi, non ti addormenti, in realtà c’è molto da vedere; anche se sembra che il fronte sia attivo solo quando c’è […]

Pubblicato 22 giorni faEdizione del 22 settembre 2024
Sabato AngieriInviato a Pokrovsk

«Non è come uno se lo immagina: non ti annoi, non ti addormenti, in realtà c’è molto da vedere; anche se sembra che il fronte sia attivo solo quando c’è un assalto non è così. Basta avere pazienza». Dima parla con una voce da baritono che nella piccola caserma vuota dà un risalto tombale a ogni sua parola. Ti fissa negli occhi e, sapendo che lavoro fa, quello sguardo insistente è fastidioso. Accanto a lui Vanka e un signore di mezza età del quale non capiamo il nome che se ne resta tutto il tempo al computer.
Sono cecchini dell’esercito ucraino inquadrati in una brigata di fanteria nei pressi di Pokrovsk. Stanno riposando dopo l’ultimo turno, che è stato molto pesante.

«ABBIAMO OPERATO dalla struttura di una miniera abbandonata da quando i russi si sono avvicinati a quest’area» racconta, «su una piccola collina. Immagina un palazzo ancora da finire, con il cemento a vista, senza finestre e vuoto». «Sembra il paradiso, eh?» interviene Vanka, che accanto a Dima sembra la spalla di un duo comico. Dima è molto alto, con la testa ovale rasata a zero, la barbetta rada che parte dagli angoli inferiori della mandibola e si allunga sotto il mento e gli occhi blu. Vanka è basso, porta una frangetta spettinata e la barba ben rifinita, entrambe rosse. Ha un sorrisetto sarcastico perennemente stampato in faccia e gli occhi piccoli e tondi che ti spiano da sotto i capelli fulvi e sembrano sempre distratti. Ma poi quando ti viene la curiosità di guardarlo ti accorgi che ti stava già guardando lui. È pieno di tatuaggi e sulle mani ha dei caratteri runici che nell’ultimo anno sono apparsi su molte t-shirt e patch dei militari. Dicono sia l’antico ucraino, assomiglia molto a una pseudo-scrittura nordica che richiama tristemente l’estetica dei gruppi neo-nazisti. Sono entrambi seduti sulle brandine, dove ci hanno fatto accomodare non senza offrirci «Chai, coffee», ovvero tè o caffè, prima domanda che si riceve all’ingresso in ogni posto di soldati, anche nelle situazioni più pericolose.

«COMUNQUE» riprende Dima, «da lì abbiamo fermato i russi per settimane, controllavamo qualsiasi cosa passasse, giorno e notte». Mentre parla apre le braccia che sono spaventosamente lunghe, sembrano prendere tutta la stanza. Afferra un monocolo, «è un visore notturno, americano, costa 4.000 dollari». «I primi tempi facevamo turni di 6 ore in due, uno al fucile e l’altro al puntatore, poi tornavamo in una casa sicura a riposare per 6 ore mentre c’era un’altra squadra, così la postazione era sempre attiva. Poi, quando i russi hanno cominciato ad avanzare, abbiamo iniziato a fare turni di 9 ore e a dormire 3 ore dietro il fucile, tutte le squadre contemporaneamente». Ma non gli viene mal di testa, male agli occhi, non si stanca? Mostra dal cellulare una foto del suo occhio iniettato di sangue con un grosso grumo da un lato: «Questo dopo 12 ore di turno» dice senza quasi sbattere le palpebre.

MOLTI CACCIATORI parlano degli appostamenti con eccitazione perché costringono a fare cose che normalmente non faresti mai come ascoltare il tuo respiro, ridurre al minimo il dispendio di energie e a zero i movimenti per il rischio di essere scoperti o sbagliare il colpo. È così anche per loro? «Non direi» risponde Dima, «a me interessa di più osservare, non mi stanco mai. Passo da un lato all’altro della boscaglia e quando torno dov’ero prima mi accorgo di cose che non avevo visto. E ogni volta c’è una cosa nuova…». «Finché non vedi un soldato nemico», lo interrompiamo. «La cosa più importante è accertarsi che non siano dei nostri, fatto questo spariamo a qualsiasi cosa si muova». Quanto sono rimasti nella fabbrica? «Due mesi prima che ci trovassero» risponde Vanka, «ma quando hanno capito non è stato bello. L’aviazione russa ha iniziato a sorvolare la collina, io e Dima ci siamo spostati al piano terra mentre l’altra squadra si è messi all’ultimo piano, forse erano ubriachi non so, comunque li sentivamo urlare insulti. Quando hanno sganciato un Tochka-U pensavamo fossero tutti morti, invece non so dirvi come si sono salvati. Solo che ora niente più postazione».

IL TOCHKA è un missile balistico molto diffuso negli arsenali russi e ne erano presenti a centinaia nei depositi di Tikhoretsk (regione di Krasnodar) e Oktyabrskoye (Tver) colpiti ieri dalle forze armate ucraine. I video delle esplosioni sono simili a quello di Toropets, il deposito a nord della Bielorussia distrutto da Kiev mercoledì. Secondo lo Stato maggiore ucraino: «L’arsenale di Tikhoretsky è uno dei tre più grandi centri di stoccaggio di munizioni ed è uno dei principali nel sistema logistico delle forze russe». Al momento dell’attacco, sempre secondo Kiev, «erano appena state consegnate almeno 2 mila tonnellate di munizioni, anche dalla Corea del Nord». Tre depositi in 3 giorni: un duro colpo per l’esercito russo, che non ha commentato. Ma per quanto di successo siano gli attacchi ucraini, Mosca continua a bombardare. Anche mentre parliamo con Dima e Vanka si sentono i boati in lontananza.

«MA I VOSTRI non rispondono?» chiediamo. «Non sempre, dobbiamo usare bene le munizioni, non ne abbiamo tante come loro» dice Dima. «Aspetta» lo interrompe l’altro, «guarda cosa ho portato». Da una sacca mimetica Vanka estrae strumenti militari. «Vengono dalla Norvegia» spiega «sono stato di recente ad addestrarmi lì». E com’è andata? «Prima ero stato anche in Francia, ma i francesi non mi hanno insegnato niente, mi sembrava una situazione un po’ stupida a dire la verità. Invece in Norvegia mi sono sentito io uno stupido soldato ucraino che non sapeva niente. I popoli nordici sono avanti a noi in tutto, hanno un altro modo…». Mentre l’apologia del Valhalla è ancora in corso ricevono una chiamata. Da sotto un tavolo Doma e Vanka prendono i pesanti fucili da cecchino e li preparano. Sarà, di nuovo, una lunga giornata.

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