Dopo Rosy Bindi che aveva invocato una seria critica al capitalismo, ieri è toccato a Romano Prodi dire che, di fronte alla costante crescita dei divari tra ricchi e poveri, «serve non dico la rivoluzione, ma qualcosa di radicale, di forte». Basta col «pensiero unico del liberismo». Archiviato Blair, con cui Prodi negli anni 90 sognava l’Ulivo mondiale. «Se la mia famiglia di impiegati con otto figli vivesse nell’Italia di oggi, io non avrei potuto studiare…», dice il Professore, «nonno nobile» si autodefinisce, ieri star assoluta della convention Pd sull’Europa ai Tiburtina studios di Roma.

UN NONNO IN GRAN forma, persino spietato nel passare in rassegna i tanti mali della sua amata Europa per la quale riprende una vecchia triade: «Gigante economico, nano politico, verme militare». Il Professore sorride, ma spiega che la sostanza ahimè è quella: «L’Ue è un ottimo pezzo di pane, ma è mezzo cotto e mezzo crudo, e fin quando non è ben conto non piace». Rubando le metafore rurali all’amico Bersani, Prodi va oltre: «La mia tristezza è l’irrilevanza progressiva dell’Europa di fronte a giganti come Usa e Cina: siamo come una noce nello schiaccianoci». E ancora: «Senza una politica estera e di difesa comune, noi europei possiamo proporre uno splendido menù per l’umanità, poi però a tavola si siedono solo cinesi e americani».

LE SUE RICETTE PER CORRERE ai ripari sono le decisioni senza unanimità ai consigli Ue, l’esercito comune, le cooperazioni rafforzate tra chi ci sta, come è a successo per l’euro, «poi altri si sono accodati». Fa anche degli esempi: «La Francia metta il suo potere di veto all’Onu e l’arma nucleare nelle mani dell’Ue: così si fa la difesa europea». Altrimenti si rischia di essere non alleati ma «vassalli» degli Usa. E non avere voce: «La Turchia ha avuto più ruolo nell’azione diplomatica sull’Ucraina rispetto all’Ue». No però all’aumento «assurdo» delle spese militari nelle singole nazioni: «Spendiamo 480 miliardi, molto più di Cina e Usa, serve una razionalizzazione, e non possiamo accettare che la parola pace abbia solo un significato negativo».

PRODI INDICA UNA «BUSSOLA» per i dem, Schlein è entusiasta, lui più tardi dirà ai cronisti che «Elly può benissimo avere il ruolo di federatrice del centrosinistra», e tra i suoi scatta la ola. «Il problema però è chi vuole farsi federare…», avverte il Professore, come a dire che non sarà facile convincere i potenziali alleati. Però la benedizione è arrivata, e la leader Pd annuisce quando l’ex leader dell’Ulivo critica il trentennio in cui i progressisti hanno aderito alla «teologia del mercato assoluto». «Da una decina d’anni», spiega, «si è capito che questo livello di iniquità è intollerabile, ma non si è ancora tradotto in politica». Le destre hanno risposto soffiando «sulla paura della globalizzazione e dell’immigrazione», e la sinistra arranca: «Il populismo», avverte Prodi, «è il rifugio di un popolo che non trova più la casa dei partiti, e neppure del Pd che ha peso tanti voti».

UN PARTITO ANCORA «frammentato e incerto», eppure «l’unico in grado di dar vita a un progetto capace di parlare alla società italiana». Prodi dà la carica per le europee, ma i dem «devono presentarsi con una squadra che non rappresenti la struttura interna o premi di consolazione per chi non ha un seggio, ma costruendo una classe dirigente che diventi leader in Europa». Schlein prende nota, e poco dopo dirà dal palco le stesse cose: «Avremo liste aperte alla società, non ci saranno premi di consolazione o conte interne. Dobbiamo portare dentro forze più fresche e mischiarle con le competenze migliori del Pd».

BRIVIDI IN SALA TRA gli aspiranti candidati . E, in effetti, i 6 giovanissimi coordinatori dei tavoli tematici (da Laura Sparavigna a Antonella Pepe e Gregorio Staglianò) che hanno tenuto banco venerdì, e ieri hanno fatto il sunto sui loro temi insieme alla segretaria (lodatissimi da Prodi), sembrano un po’ l’identikit dei profili che Schlein ha in mente (peccato che per andare a Bruxelles servano decine di migliaia di preferenze). La leader rilancia: «Con loro faremo un tour dell’Italia in sei tappe, per provare a scaldare il cuore degli italiani sui temi europei, partiamo da Cassino. Tocca alla nostra generazione completare il progetto, fare gli Stati d’Europa, costruire il forno per cuocere il pane di cui parlava Prodi».

DAL PALCO PARLA ANCHE Enrico Letta (è la sua prima volta da ex) che invita all’ottimismo europeista: «La reazione post Covid ci dice che l’Europa quando vuole le risposte le sa dare, ora dobbiamo rassicurare anche alla parte meno cosmopolita della società, quella più a disagio». Prodi difende la scelta di Schlein di non andare sul palco di Atreju: «Cosa doveva andare a fare insieme a Vox e Elon Musk? Il dibattito si fa in Parlamento, non nelle prigioni di Castel Sant’Angelo». E Meloni? «Non ha ancora deciso se sta con Orban a Budapest o con Bruxelles. E intanto l’Italia per la prima volta non è più nel gruppo guida dell’Ue».

Un consiglio alla premier? «Si decida signora, si decida!». Schlein mette il carico: «Non condivido il palco con i nostalgici del fascismo e del franchismo». Standing ovation. Poi la sfida: «Sono pronta a un confronto con Meloni quando vuole, anche in tv, sul lavoro, sulla sanità. Ma non a casa mia o a casa sua…».