Negli Usa è tempo di laurea e in tutto il paese le cerimonie universitarie sono cominciate sullo sfondo di campus occupati, sgomberati o in subbuglio. Dove non sono addirittura state cancellate dalle amministrazioni in panico, le celebrazioni dei laureati sono state blindate da imponenti misure di sicurezza o spostate in “luoghi sicuri” per minimizzare le contestazioni. Malgrado tutto però gli studenti hanno trovato il modo di far sentire le loro voci, a volte con semplici azioni – come la diserzione di massa della cerimonia all’università della Virginia da parte dei giovani che hanno abbandonato l’aula quando sul palco è salito il governatore trumpista Glenn Youngkin.

È una immagine che evoca cattivi presagi per Joe Biden, che rischia un simile esodo di giovani dalla coalizione elettorale di cui ha bisogno per sperare di vincere a novembre. Non è forse un caso che questa è stata anche la settimana in cui il presidente è infine parso disposto ad agire per contenere la campagna di Netanyahu a Gaza fermando la fornitura di bombe da 1000kg e 250kg con la motivazione che le munizioni potrebbero portare a crimini di guerra durante l’invasione di Rafah.

Joe Biden e l'Air Force One
Joe Biden e l’Air Force One, foto Alex Brandon /Ap

Gli studenti hanno rivendicato la vittoria che considerano una conseguenza diretta delle dilaganti proteste. Allo stesso tempo, l’embargo della Casa bianca è temporaneo e parziale; tutte le altre massicce forniture militari autorizzate dal decreto di assistenza del valore di 26 miliardi approvato dal Congresso il mese scorso proseguono e, come ha sottolineato Biden, “prosegue la spesa promulgata”. Traduzione: i soldi  a Israele e Ucraina continuano a fluire come un mastodontico sussidio economico alle fabbriche americane del complesso militare industriale che producono armi per l’export.

La cattiva notizia per Biden è che le rassicurazioni difficilmente placheranno l’opposizione della destra mentre il simbolico e parziale embargo non basterà a convincere il movimento contro la guerra.

Questo mentre prosegue la generale demonizzazione di un movimento studentesco descritto come violento, antisemita o, al minimo, ingenuo. Quest’ultima posizione sposata ieri dall’editoriale del New York Times che accusa gli studenti di “immaturo moralismo” mentre una politica estera strategica richiede la capacità di accettare anche il prezzo delle tragedie.

L’ultima evidenza di una postura suicida che invece di accogliere l’obiezione morale dei giovani (sulla guerra ma anche sul clima e sulla democrazia) come un necessario ed essenziale contributo alla nefasta involuzione globale, rivendica gli errori dei padri.

Donald Trump a un comizio in New Jersey,
Donald Trump a un comizio in New Jersey, foto Matt Rourke /Ap

Scenari che non depongono bene per elezioni che determineranno il futuro di una superpotenza a un bivio decisivo, una democrazia che pare aver esaurito le forze propulsive.

Sulla crisi mediorientale, Trump è intervenuto con la consueta affermazione che “se c’ero io non sarebbe mai successa” e un altrettanto prevedibile attacco al presidente come nemico di Israele, alleato di Hamas e dei “branchi radicali” che devastano le università”.

Più indicativo dei programmi concreti di una possibile nuova amministrazione Trump è stato l’incontro fra il magnate e i direttori delle compagnie petrolifere. Nel meeting tenuto a Mar A Lago (avvenuto ad aprile ma venuto solo ora alla luce) Trump ha chiesto ai manager di contribuire con un miliardo di dollari alla sua rielezione aggiungendo, con la schiettezza che lo contraddistingue, che la donazione sarebbe stata abbondantemente risarcita dall’abrogazione delle norme ambientali che si impegna d intraprendere una volta rieletto presidente.

Pur alternando gli occasionali comizi a seguaci adoranti con le udienze del suo processo a New York, Trump prosegue la marcia verso la nomination nelle residue, simboliche primarie statali. L’ultima in ordine di tempo, quella in Indiana il 7 maggio, lo hanno confermato inarrestabile vincente ma hanno anche espresso un 20% di preferenze per Nikki Haley, avversaria che ha sospeso la campagna da oltre due mesi. Ultima conferma che anche per Trump, come per Biden, il risultato di novembre verrà probabilmente determinato dal numero di elettori che hanno raggiunto i limiti della tolleranza.

Robert F. Kennedy Jr. e Nicole Shanahan in campagna elettorale,
Robert F. Kennedy Jr. e Nicole Shanahan in campagna elettorale, foto Eric Risberg /Ap

Al senso di disorientamento politico ha contribuito il siparietto che ha coinvolto il “candidato terzo,” Robert Kennedy Jr., diventando subito tormentone di social e Tv.

Il rampollo dell’aristocrazia dem che concorre come esponente di un’improbabile piattaforma populista con riflessi ambientalisti, complottismi no vax e vagiti new age, ha rivelato questa settimana di aver ricevuto, in seguito a disturbi accusati una decina di anni fa, la diagnosi di un endoparassita insediatosi nel cervello di cui avrebbe ingerito una porzione prima di decedere. Una notizia che ha lanciato l’hasthtag “#brainworm” sui social. La successiva dichiarazione (“potrei mangiarmi altre cinque verni del cervello ed essere comunque il più lucido in un dibattito con Biden e Trump”) non ha avuto l’effetto desiderato, producendo centinaia di battute di comici e talk show.

Parassita o meno, dice molto il fatto che Kennedy potrebbe essere uno dei fattori determinanti l’elezione, soprattutto ora che la sua campagna è finanziata dalle smisurate risorse di cui dispone la sua candidata a vicepresidente Nicole Shanahan dopo il divorzio da Sergey Brin, fondatore di Google.