Sí, se pudo, ce l’abbiamo fatta, è stato il coro più sentito nelle piazze e nelle strade che festeggiavano la vittoria di Gustavo Petro, nuovo presidente della Colombia.
Con oltre 11 milioni di voti e il 50,46% del totale, il candidato del Pacto Histórico si è imposto al ballottaggio di domenica 19 giugno sul populista Rodolfo Hernández, che è rimasto fermo al 47,29% con poco più di 10 milioni di preferenze.

È un risultato storico: per la prima volta nella sua vita repubblicana, la Colombia avrà un presidente di sinistra, e alla vicepresidenza una donna, afro discendente e di origini umili: Francia Márquez, attivista ambientale e femminista che rappresenta l’inclusione e la lotta per l’uguaglianza dei settori storicamente marginalizzati e impoveriti della società colombiana. «Sarà il governo della gente con i calli sulle mani, della gente comune» ha affermato nel suo discorso dopo la vittoria.

L’ACCETTAZIONE della sconfitta da parte di Hernández e il messaggio di Ivan Duque che ha riconosciuto Petro come nuovo presidente hanno rapidamente allontanato lo spettro dei brogli, che aveva dominato l’agenda mediatica e le preoccupazioni del Pacto Histórico negli ultimi giorni. Insieme all’idea che un’elezione trasparente e un governo progressista fossero impossibili in Colombia, finisce un’era segnata dall’influenza della destra neoliberale, vincolata al paramilitarismo e al narcotraffico, e responsabile di una sanguinosa politica di scontro con le forze guerrigliere che ha esacerbato la violenza nel Paese negli ultimi vent’anni.

Petro rappresenta infatti una rottura rispetto all’establishment, nella sua campagna elettorale ha affermato di voler applicare integralmente l’Accordo di Pace firmato nel 2016 tra lo Stato e le Farc e ha criticato apertamente la classe politica colombiana come una delle più corrotte del mondo.
Con l’elezione di Petro si muove anche la mappa politica del continente: nel suo primo discorso alla nazione, ha parlato di ricostruire l’integrazione latinoamericana, e ci sono diversi segnali che vanno in questa direzione. La sua vittoria arriva subito dopo la svolta progressista in Cile dello scorso anno, e precede il voto in Brasile di ottobre, dove Lula già si impone su Bolsonaro nei sondaggi. Oltre a Boric, anche i presidenti di Argentina, Messico, Bolivia e Venezuela, tra gli altri, hanno accolto positivamente il cambio che rappresenta l’arrivo di Petro alla presidenza.

IL SUO MESSAGGIO, dal palco di una emozionata e gremita arena Movistar, a Bogotá, è stato quello della riconciliazione, della pace e del dialogo, a cui ha invitato anche l’elettorato di Hernández. Petro ha riconosciuto che la sua vittoria, con soli tre punti di distacco dal suo contendente, parla di un Paese diviso in due, che riunire sarà parte del suo progetto politico fondato su un «grande accordo nazionale».
Si è inoltre rivolto al pubblico ministero per chiedere la liberazione dei ragazzi della cosiddetta prima linea che ha caratterizzato le mobilitazioni dello scorso anno, arrestati arbitrariamente nelle settimane precedenti alle elezioni, e ha lasciato il microfono alla madre di Dylan Cruz, che vede in Petro la possibilità di ottenere giustizia per suo figlio, ucciso a soli 18 anni il 23 novembre del 2019 dagli squadroni di polizia Esmad, durante il primo ciclo di proteste che si sono ripetute con forza durante l’anno passato.

Pace con giustizia sociale è il cammino indicato anche da Francia Márquez, che si propone di sradicare il patriarcato e il razzismo da una parte, e dall’altra di proteggere la madre terra, aggiungendo così il terzo asse del progetto politico, la giustizia ambientale.
La transizione energetica in risposta all’emergenza del cambio climatico è centrale nel programma di governo del Pacto Histórico: Petro ha parlato di salvare la selva amazzonica per salvare il pianeta e allo stesso tempo scommette su un capitalismo produttivo che possa far crescere l’impiego e l’industrializzazione, al posto della logica di estrazione ed esportazione delle materie prime che caratterizza l’economia colombiana.

LE SUE PROPOSTE promettono maggiori opportunità, investimenti nell’educazione e nella salute, e si rivolgono alle generazioni più giovani e alle donne, componenti decisive dell’elettorato che ha permesso a Petro e Marquez di imporsi su Hernández. Grazie a una strategia comunicativa mirata a demolire l’avversario per la sua poca consistenza politica e a una serie di alleanze verso il centro, Petro ha guadagnato terreno. Al ballottaggio si sono presentate alle urne 1,2 milioni di persone in più rispetto alle elezioni del 29 maggio, con una straordinaria partecipazione del 58%, che non si vedeva da cinquant’anni, e Petro ha raccolto 2,7 milioni nuovi voti.

«ABBIAMO VINTO, abbiamo dimostrato che il popolo è superiore ai suoi dirigenti» dice orgoglioso un ragazzo citando la famosa frase del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán, che fu ucciso nel 1948 dando origine alla rivolta sociale conosciuta come Bogotazo. Sventola la bandiera della Colombia in una piazza Bolivar in festa, nel centro di Bogotà.

Per il Paese si apre ora un’immensa opportunità che è insieme una sfida, come dice una signora che è scesa in strada con tutta la sua famiglia a celebrare la vittoria elettorale: «Questo è il voto della dignità, per restituire alla Colombia l’empatia, l’umanità, l’amore e superare l’odio e la morte».