La Gran Bretagna, rinsecchita dalla siccità come il resto d’Europa, si prepara all’autunno più bollente dagli anni Settanta. Le famiglie stanno facendo i conti con inflazione galoppante, rincari geometrici delle utenze domestiche (con le bollette energetiche che dovrebbero superare le 4.200 sterline entro gennaio, circa cinquemila euro) e i prezzi della spesa fuori controllo. Che debitamente si riflettono negli utili da capogiro delle principali aziende energetiche.

Ieri Boris Johnson – in carica per le ultime quattro settimane – ha incontrato, tra gli altri, i boss di Centrica (proprietaria di British Gas, Scottish Power, Edf, E.On). Ma il primo round di discussioni a Downing Street – che ha inoltre coinvolto Ofgem, l’authority nazionale di regolamentazione del settore – non ha portato alcun proposito concreto per alleviare la situazione.

Johnson non ha fatto altro che ribadire che le decisioni per evitare di condannare milioni di cittadini alla povertà energetica quest’inverno spettano al suo successore: Liz Truss o Rishi Sunak, i due finalisti a disputarsi le preferenze degli iscritti al partito conservatore il prossimo cinque settembre. Ha affermato genericamente che continuerà a fare pressione sul settore energetico affinché «lavori su modi» per contribuire a ridurre i costi di gas ed elettricità, mentre l’opposizione laburista e liberale lo accusa di essere «scomparso», di gestire un «governo zombi», di «entrare nella crisi da sonnambulo».

Un palliativo sarebbe la cosiddetta windfall tax, l’imposta una tantum a un settore che abbia fatto enormi guadagni inaspettati e per ragioni di cui non è responsabile: qualcosa di ideologicamente obbrobrioso per i ministri conservatori. Ieri Nadhim Zahawi, il ministro delle finanze, e Kwasi Kwarteng, quello del business, che a loro volta hanno avuto colloqui con le industrie energetiche giovedì, hanno placidamente discusso di investimenti, prezzi all’ingrosso e sicurezza dell’approvvigionamento, piuttosto che di una tassa che «spaventerebbe le aziende che fanno profitti» secondo la fin troppo classica vulgata.

Nel 2022 le famiglie britanniche hanno visto i costi del proprio tenore di vita aumentare vertiginosamente. I costi dell’energia domestica sono più che raddoppiati e minacciano di triplicare, il prezzo della benzina è aumentato di oltre la metà dall’inizio dello scorso anno e l’inflazione è a doppia cifra. Secondo vari sondaggi delle associazione di consumatori in moltissimi sono in già in ritardo sui pagamenti di gas ed elettricità. Il debito totale delle famiglie è tre volte superiore a quello di settembre dello scorso anno.

Il governo ha risposto annunciando lo stanziamento di circa 15 miliardi di sterline nel sostegno ai nuclei famigliari, incluso un unico pagamento di 400 sterline per famiglia: misure annunciate quando le bollette avrebbero dovuto raggiungere circa 2.800 sterline entro ottobre e ben al di sotto delle attuali previsioni di 4.200.

Il Labour si prepara nel frattempo ad annunciare il proprio pacchetto di misure per affrontare la crisi del costo della vita. Fino adesso il partito si è limitato a chiedere un inasprimento dell’imposta sulle entrate straordinarie, ottenibile privando le aziende energetiche della scappatoia di richiedere sgravi fiscali su oltre il 90% se il denaro viene reinvestito. Ma c’è chi approfitta del relativo immobilismo di Starmer: in tre recenti ed accorati appelli l’ex (ed ultimo) premier laburista Gordon Brown aveva chiesto la nazionalizzazione temporanea delle aziende energetiche.

Intanto il governo accelera l’altra grande bugia: il nucleare come opzione “verde”. Ha deciso di dare il via libera alla centrale nucleare di Sizewell C nonostante l’impatto catastrofico che avrebbe sulle riserve idriche di un paese sbigottito da una siccità da cui, per tempo immemorabile, si era creduto immune.