«Lavoriamo al massimo delle nostre capacità, tanti panifici sono stati distrutti e i pochi che sono in attività devono fare in fretta. Sappiamo che non tutto il pane che distribuiamo è stato impastato e cotto come si deve, ma abbiamo migliaia di persone da sfamare ogni giorno e sbagliare è facile».

AHMED AL BANNA, proprietario di un forno tra i più grandi del distretto di Deir al Balah, chiede scusa per il pane «crudo che marcisce subito» di cui si lamentano i palestinesi, residenti e sfollati, che vivono nella sua zona. Il pane, spesso l’unico nutrimento in una intera giornata per tante persone, è solo uno degli innumerevoli problemi che devono risolvere ogni giorno gli abitanti di Gaza travolti dalla crisi umanitaria provocata dall’offensiva militare che Israele porta avanti da otto mesi. Un problema che si aggiunge ad altri aggravati dall’arrivo dell’estate e delle temperature oltre i 35 gradi: malattie infettive, poca acqua potabile, tonnellate di rifiuti che si accumulano ovunque.

È tragicamente preciso il quadro della situazione fatto ieri ad Amman dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, alla Conferenza internazionale sulla risposta umanitaria di emergenza a Gaza. «Almeno 1,7 milioni di persone – il 75% della popolazione di Gaza – sono state sfollate, molte volte a causa degli attacchi militari israeliani. Oltre 50mila bambini necessitano di cure per la malnutrizione acuta, la soluzione alla crisi umanitaria a Gaza è politica». Al Cairo Mohamed Radwan, vicepresidente della Mezzaluna Rossa egiziana, ha aggiunto che le autorità israeliane continuano a tenere chiuso, per il trentaseiesimo giorno consecutivo, il valico di Rafah sul lato palestinese impedendo l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, nonché l’uscita dei feriti e palestinesi malati, stranieri e persone con doppia nazionalità.

LA TREGUA permanente, la fine dei bombardamenti israeliani, l’accesso senza restrizioni degli aiuti umanitari e l’inizio della ricostruzione di Gaza sono i punti che interessano a due milioni di civili. Persone che non hanno tempo e voglia di ascoltare i proclami che giungono dai rappresentanti dei paesi «donatori» riuniti in Giordania che prima hanno permesso la devastazione della Striscia – i satelliti dell’Onu hanno accertato che il 50% degli edifici è stato distrutto dai bombardamenti israeliani – e ora si dicono pronti a elargire un po’ di milioni di euro o dollari «ai palestinesi che soffrono». Come gli Stati uniti che, mentre riforniscono di bombe e missili Israele, fanno sapere attraverso il segretario di stato Blinken ad Amman che concederanno 404 milioni di dollari in aiuti umanitari per Gaza.

IL CESSATE IL FUOCO permanente è la priorità. Inutile annunciare donazioni e parlare di ricostruzione se Israele non fermerà l’offensiva che ha lanciato per «distruggere totalmente Hamas» mentre è chiaro che non potrà raggiungere questo risultato. Secondo Blinken lo stop alle armi è vicino, dipenderebbe solo dal sì ufficiale di Hamas che però dietro le quinte è già pronto a negoziare i dettagli, ha annunciato alla Reuters Sami Abu Zuhri, un portavoce del movimento, aggiungendo che ora spetta a Washington garantire che Tel Aviv rispetti l’intesa. In seratasi è saputo che gli islamisti hanno consegnato la loro risposta ai mediatori. Osama Hamdan, un alto dirigente di Hamas, ha poi precisato che l’organizzazione ha presentato ai mediatori diversi commenti sulla proposta di cessate il fuoco e sul rilascio degli ostaggi. Parole che hanno in parte ridimensionate le aspettative dei più ottimisti. Israele, sostiene Blinken, invece è pronto a fermarsi. «Ieri sera (lunedì) ho incontrato il premier Netanyahu, che ha riaffermato il suo impegno nei confronti della proposta di accordo per il cessate il fuoco», ha riferito il segretario di Stato riferendosi al piano Usa approvato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

In questi ultimi giorni, gli Usa ma anche l’Ue e diversi paesi arabi hanno esercitato il pressing soltanto sui leader di Hamas mentre è Netanyahu che deve risolvere l’ambiguità che avvolge la posizione israeliana sulla tregua. Hanno ripetuto che il movimento islamico deve accettare la proposta senza esitazioni, mettendo da parte il sospetto che il governo Netanyahu riprenderà l’attacco quando avrà ottenuto la liberazione di gran parte dei 120 ostaggi israeliani a Gaza. Sospetto ben fondato.

La leadership di Hamas, specie quella rifugiata nei tunnel di Gaza, non si fida degli Stati uniti e della sua politica verso la tregua e la Striscia in generale. Il giornale online UltraPalestine ha riferito che varie formazioni militanti palestinesi stanno indagando sulla partecipazione americana al blitz israeliano che sabato scorso ha portato al recupero di quattro ostaggi a Nuseirat, a costo però della vita di oltre 200 palestinesi, tra cui donne e bambini, morti nei bombardamenti sul campo profughi. D’altronde che le garanzie Usa non siano del tutto credibili, l’ha fatto capire un funzionario del governo israeliano quando ha detto ieri all’Ansa ciò che Netanyahu ripete da otto mesi: «Israele non metterà fine alla guerra prima di aver raggiunto tutti i suoi obiettivi: distruggere le capacità militari e di governo di Hamas, liberare tutti gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti una minaccia per Israele in futuro». La proposta presentata «consente a Israele di raggiungere questi obiettivi e Israele lo farà», ha aggiunto il funzionario.

IN ATTESA della tregua, Israele ha bombardato Zuwaida e di nuovo il campo profughi di Nuseirat. 70 palestinesi arrestati da Israele sono stati scarcerati e sono rientrati a Gaza dal valico di Zikim. Molti di loro hanno riferito di abusi e torture. Ieri si sono svolti in Israele i funerali dei quattro militari uccisi dal crollo di un edificio a Rafah fatto esplodere da Hamas. In Cisgiordania quattro palestinesi sono stati uccisi da forze israeliane a Kufr Nameh.