Oggi il consiglio dei ministri approverà il disegno di legge che introduce l’elezione diretta del premier. A poche ore dal voto ancora non è chiaro quale sarà il testo definitivo, visto che la maggioranza ancora non ha trovato l’accordo su un punto fondamentale: cosa accade nel caso in cui il Parlamento sfiduci il premier eletto dai cittadini. L’ultima bozza circolata- diversa dal testo approvato lunedì al vertice del centrodestra- dice che, in caso di crisi, il presidente della Repubblica possa incaricare o il dimissionario oppure un parlamentare eletto nella maggioranza del premier: ma se anche questi venisse sfiduciato si andrebbe automaticamente al voto.

Resta anche in questa ipotesi una pesante limitazione dei poteri del Capo dello Stato in caso di crisi di governo: sarebbe obbligato a nominare un nuovo premier della stessa maggioranza del primo, a sua volta costretto a proporre al Parlamento gli stessi «indirizzi programmatici». Tra le ipotesi circola pure quella che prevede che il nuovo premier debba avere la stessa maggioranza di partenza del predecessore. Così come resterebbe scritto in Costituzione l’obbligo che la legge elettorale assicuri al premier (alle liste a lui collegate) la maggioranza del 55% in entrambe le Camere, senza precisare un minimo di voti che la coalizione debba ottenere per accedere al premio.

La ministra Casellati non ha confermato le ipotesi circolate, riservandosi di presentare solo oggi la bozza definitiva del ddl. Nella maggioranza ci sono ancora dubbi. Meloni fissa i suoi paletti: «L’autonomia cammina di pari passo con il premierato, le due cose si tengono insieme», dice nel nuovo libro di Vespa. «Oggi il grande vulnus è dato dal fatto che le regioni hanno un’autorevolezza e una stabilità che mancano al governo centrale, perché il presidente del Consiglio non è eletto direttamente. Se vuoi dare ulteriori poteri alle regioni virtuose, devi avere i giusti contrappesi».

Salvini non pare molto entusiasta e apre a possibili ulteriori modifiche: «Daremo l’ok in consiglio dei ministri, poi ci sarà il dibattito parlamentare e il referendum. Tutti gli italiani potranno dire se sono d’accordo o meno» . Un’ipotesi, quella del referendum, che La Russa due giorni fa aveva detto di voler evitare, aprendo a un confronto con le opposizioni. Ma, a parte Renzi, tutte le altre sono contrarie.

«È una proposta che affossa la repubblica parlamentare, indebolisce le prerogative del presidente della Repubblica ed esautora il Parlamento», ribadisce Elly Schlein. E il dem Parini fa notare: «Saremmo l’unico paese europeo in cui non sarebbe inserito il limite massimo di due mandati e il ballottaggio se nessuno dei candidati raggiunge il 50%». Una anomalia, quella dei limite ai mandati, notata anche dal leghista Luza Zaia.