Il Senato ha approvato ieri il primo articolo del ddl sul premierato elettivo, e lo ha fatto in una seduta istruttiva sulla cultura costituzionale della destra, che fa capire le ragioni che animano l’attuale maggioranza nel suo disegno di riforma. Sul piano del dibattito pubblico va invece registrata la severa presa di posizione contro il premierato elettivo («una riforma discutibile e rischiosa») della ex presidente della Corte costituzionale ed ex ministra della giustizia, Marta Cartabia – da sempre sintonica con il presidente Mattarella – in un’intervista a Civiltà Cattolica.

Il primo degli otto articoli del ddl Casellati è, per certi versi, il più marginale rispetto all’elezione diretta del premier: esso infatti abroga il potere del presidente della repubblica di «nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».

Le ragioni di questa scelta, spiegate in aula dalla ministra Casellati: si tratta di un istituto estraneo al concetto di un parlamento eletto a traino del premier eletto direttamente; inoltre visto che è comunque prevista la fiducia dei due rami del parlamento, i senatori a vita altererebbero i numeri del Senato. Ieri, verso la fine del voto sui 147 emendamenti a questo articolo si è giunti a discutere un emendamento di Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita nominata da Napolitano, e Julia Unterberger, capogruppo delle Autonomia: mantenere il potere del capo dello Stato di nominare i senatori a vita, ma togliere a questi la prerogativa di votare la fiducia. Per altro una proposta avanzata nel 2021 da Ignazio La Russa e da Alberto Balboni. Cattaneo ha fatto un discorso alto, parlando della «missione propria di un senatore a vita per sostenere la democrazia parlamentare», vale a dire quella «innanzitutto di offrire alla comunità politica e ai cittadini la propria parola intesa come spazio e opportunità di conoscenza e ragionamento».

«Il pari diritto di parola, in quest’Aula – ha aggiunto – in seno al parlamento e nel Paese, è per me il privilegio, il servizio più alto che vivo e che sento, a cui il senatore a vita è chiamato ad attendere». In tutta risposta il presidente del Senato La Russa, allungandogli i tempi di intervento non ha saputo fare a meno di ironizzare: «Per una volta che abbiamo l’onore di poterla ascoltare, prego, ha il tempo doppio». E anche il relatore Balboni, per motivare il suo no all’emendamento e il dietrofront rispetto alla sua antica proposta, non ha resistito ai toni irridenti nell’esporre i suoi argomenti («forse la senatrice non sa che…»). Al di là delle proteste delle opposizioni, che hanno portato anche alla sospensione dell’Aula dopo un gestaccio della ministra Casellati verso Enrico Borghi (Iv), la riflessione riguarda la cultura politica e istituzionale della destra. Come ha evidenziato Unterberger (per due volte insultata, da Zaffini e da Biancofiore, perché non parlerebbe bene italiano), dietro il comportamento irridente si cela un atteggiamento ostile al contributo che gli intellettuali (scienziati, artisti, professori, ecc) portano al dibattito pubblico, intellettuali verso i quali arriva la vendetta: «finalmente», come ha confessato la meloniana Cinzia Pellegrino.

Il nervosismo della ministra Casellati è stato colto da Matteo Renzi. Dopo il «chissene importa» del premierato dichiarato domenica da Meloni, forse la ministra teme di far la fine di Giambruno, Maurizio Leo, Giovanni Toti, abbandonati da Meloni in quattro e quattr’otto. Renzi, intervenendo su un emendamento di Iv si è rivolto ai senatori di maggioranza: Se avete ancora un briciolo di dignità politica, siccome sapete che non oggi, ma tra qualche mese dovrete tornare indietro e bloccherete le riforme costituzionali, io vi sfido, abbiate il coraggio di passare al semipresidenzialismo con l’elezione diretta del presidente della repubblica. Fermatevi, o lo farete ora o lo farete fra un anno, ma questa riforma in porto non va .