Arriva il primo sì del Parlamento alla prima riforma costituzionale della storia della Repubblica in cui il contenuto pesa altrettanto rispetto a quanto è taciuto. La Commissione Affari costituzionali del Senato stamattina di buonora concluderà l’esame del ddl Casellati sul premierato elettivo, con il voto del mandato al relatore.
La Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, nei prossimi giorni, calendarizzerà il provvedimento in Aula. Un passaggio su cui nessun partito della maggioranza solleverà questioni: lunedì, infatti, alla Camera è stato confermato l’impegno di tutto il centrodestra di portare il 29 aprile in Aula a Montecitorio il ddl Calderoli sull’Autonomia differenziata, per cui in Senato la Lega non farà obiezioni sul premierato. Il cuore del ddl Casellati è l’elezione diretta «per cinque anni» del Presidente del Consiglio. Come verrà eletto? Non si sa. Il provvedimento approvato dalla Commissione afferma che una legge ordinaria successiva disciplinerà «il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività».

Nella scorsa legislatura, quando Fdi era all’opposizione, Meloni presentò una pdl di riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica (AC 716) i cui 13 articoli erano estremamente lunghi e dettagliati. Invece il ddl licenziato ieri dalla Commissione tace su quanti voti debba prendere il candidato premier per essere dichiarato eletto, come debba essere assegnato «un premio su base nazionale» alla coalizione che sostiene il candidato presidente del Consiglio. Si è capito, durante il dibattito in Commissione, che non c’è unità di vedute nel centrodestra. Il relatore e presidente della Commissione, Alberto Balboni, ha detto che occorre una soglia almeno del 40% per poter assegnare il premio di maggioranza; in un primo momento ha sostenuto che se non viene raggiunto tale quorum si dovrà andare al ballottaggio; successivamente – dopo che la Lega (con Massimiliano Romeo e Paolo Tosato) ha dichiarato di non volere il ballottaggio – ha affermato che se non viene raggiunto il 40% dalle liste collegate al candidato, il premio non viene assegnato e la divisione dei seggi avviene su base proporzionale. Il punto critico non risiede in questa tecnicalità – soglie, ballottaggi… – bensì nel fatto che la riforma «è incostituzionale», come ha detto ieri Rosi Bindi nel corso di un Convegno del Coordinamento per la democrazia costituzionale (Cdc) del professore Massimo Villone. Infatti se il Parlamento viene eletto a strascico del Presidente del Consiglio, ha sottolineato la professoressa Giovanna De Minico nello stesso convegno, esso viene subordinato al Presidente del Consiglio: viene dunque meno, ha sottolineato De Minico, la separazione dei poteri. In più anche il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale saranno subordinati al premier. Infatti la coalizione del Presidente del Consiglio avrà i numeri in Parlamento per eleggere il Capo dello Stato, il quale a sua volta nomina un terzo dei membri della Corte costituzionale.

Le opposizioni hanno cercato di inceppare il meccanismo del «baratto» (come lo ha definito Giovanni Maria Flick al convegno del Cdc) tra Lega e Fdi, cercando di rallentare il cammino dell’Autonomia differenziata alla Camera, dove viene esaminata dalla Commissione Affari costituzionali. Il Pd, con Simona Bonafé, ha chiesto la relazione del Mef sui costi che comporterà questa riforma. Il ddl Calderoli, comicamente, afferma che essa non avrà oneri per la finanza pubblica. Una previsione evidentemente falsa: lo Stato dovrà devolvere risorse e personale alle Regioni che chiederanno la competenza su nuove materie, ma dovrà mantenere le strutture amministrative per gestire tali funzioni per le altre che non ne chiederanno la competenza. «Se non arriviamo a capire la dimensione della copertura finanziaria, per valutare quale onere a carico dello Stato e delle altre Regioni, ci saranno problemi preoccupanti di finanza pubblica». Giorgetti, hai sentito?