Fanno un lavoro delicato e importante per il funzionamento della giustizia, eppure lo stato non li riconosce come professionisti e li tieni precari da 30 anni. Come Anna Tomassi: che trascrive le testimonianze penali dal 1994 e ha avuto fino a ora diversi tipi di contratti e nessuno scatto di livello o anzianità. «E per fortuna che dal 2017 abbiamo il contratto Multiservizi, secondo e terzo livello, ma inadeguato rispetto alle nostre mansioni», racconta Tomassi che nel frattempo è diventata Rsa. Ieri con i suoi colleghi, 1.500 tra fonici, trascrittori e stenotipisti, ha manifestato davanti al Palazzo di Giustizia di Roma. Gli addetti ai servizi di documentazione degli atti processuali impiegati al ministero sono infatti in vertenza da anni per essere riconosciuti come categoria.

La maggior parte di loro ha contratti part time da 600 euro al mese e a ogni cambio di appalto ricominciano da capo. Lasciati in balia del proprio destino dal guardasigilli Carlo Nordio, ieri hanno aderito massicciamente (in media dell’85% del comparto sul territorio nazionale con diversi tribunali che hanno toccato il 100%, secondo i sindacati) allo sciopero proclamato da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltrasporti in «assenza di sviluppi concreti». «Nulla è seguito alle dichiarazioni d’intento del ministero annunciate nell’ultimo incontro del 21 dicembre, convocato dopo la proclamazione dello stato di agitazione – dicono i sindacati – . Il dicastero, pur avendo risposto “positivamente” alla richiesta di internalizzare le lavoratrici e i lavoratori impiegati nell’appalto, allo stato non ha ancora dato avvio al processo di internalizzazione né una prospettiva temporale per la stabilizzazione». «Fino a ora sono usciti diversi concorsi ma non quello che ci permette di essere riconosciuti come professionisti e assunti dal ministero – spiega ancora Tomassi – eppure siamo un numero di lavoratori tutto sommato esiguo: rispetto al costo dell’operazione i vantaggi sarebbero importanti, anche per l’accelerazione dei processi spinta dalla destra».

Ci sono poi altre due questioni. La prima riguarda i tagli previsti a via Arenula: Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uilt temono che possano «incidere sui livelli occupazionali e salariali attuali». La seconda, la riforma Cartabia del processo penale telematico. I sindacati denunciano la «grande confusione generata dalle modalità di attuazione della riforma che si ripercuote sulle lavoratrici e sui lavoratori in appalto, alle prese con l’utilizzo dei nuovi impianti senza aver ricevuto una formazione adeguata». E di conseguenza chiedono garanzie attraverso l’avvio di un tavolo di contrattazione sull’appalto, la creazione di un percorso formativo «che permetta di valorizzare le professionalità degli addetti» e soprattutto con «l’assunzione da parte del ministero della Giustizia di tutte le lavoratrici e i lavoratori». Intanto la protesta non si ferma: per Anna Tomassi lo sciopero è stato «solo l’inizio di un percorso di mobilitazione per il riconoscimento dei nostri diritti e della professionalità».