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Portogallo in fiamme, dichiarato lo stato di crisi

Portogallo in fiamme, dichiarato lo stato di crisi

Più di cento roghi devastano il paese Almeno sette le vittime accertate. Al lavoro più di 5.000 vigili del fuoco

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 19 settembre 2024

Alle 15 di ieri pomeriggio nel nord del Portogallo risultano attivi oltre 100 incendi che hanno spinto il primo ministro Luís Montenegro a dichiarare lo stato di calamità per le aree più colpite. Nella regione del Vouga, dove oltre 15 mila ettari sono bruciati in pochi giorni, la situazione è definita «fuori controllo» nel comune di Águeda. Oltre che paesi e contrade rurali, le fiamme sono arrivate a lambire le città di Coimbra e Castelo Branco. Nelle operazioni di spegnimento sono impegnati oltre 5 mila vigili. La protezione civile contabilizza sette morti e 118 feriti, senza includere tre vigili del fuoco morti in un incidente stradale. Una sessantina di persone ha dovuto abbandonare le proprie case.

Le immagini satellitari della Nasa danno una impressionante visione di insieme: decine di colonne di fumo, distribuite su un territorio di migliaia di chilometri quadrati, vengono spinte dal vento verso l’oceano.

Non sono certo una novità gli incendi rurali, in Portogallo. È dagli anni ’70 che, con lo spopolamento delle aree interne, l’abbandono delle forme tradizionali di agricoltura e l’aumento delle ondate di caldo secco, si assiste a un aumento di frequenza, intensità e dimensione degli incendi e degli eventi di grande scala. Da inizio millennio, secondo i dati dell’Istituto per la Conservazione della Natura e della Foresta, in un anno normali bruciano tra 500 e 1.500 chilometri quadrati di territorio. Nel 2003, un’ondata di calore senza precedenti ha spinto il dato a quasi 5 mila chilometri quadrati. Il 2017 ha visto gli incendi più mortali della storia recente, con oltre 100 persone morte nei due eventi del 17 giugno e 15 ottobre – quell’anno, si sono superati i 5 mila chilometri quadrati. L’estensione territoriale degli incendi in corso potrebbe portare ad un nuovo record nel 2024.

Per capire le cause, oltre le dinamiche demografiche e il cambiamento climatico, è da tenere in considerazione un altro fattore. La foresta portoghese è la più privatizzata d’Europa: meno del 2% è di proprietà pubblica e di un terzo non si sa esattamente chi siano i proprietari. La proprietà diffusa – e miriadi di particelle mai attribuite dopo la morte dei proprietari – rende difficilissimo identificare responsabili e gestori. In questo paesaggio si innesta uno dei settori più potenti dell’economia nazionale, quello delle cartiere, che hanno spinto alla sostituzione delle specie autoctone con l’eucaliptus, dalla rapidissima crescita e particolarmente apprezzato dall’industria. La foresta di eucaliptus, però, è anche tra quelle a maggior rischio di incendio: si tratta di un albero sottile, secco e impregnato di resina, che brucia rapidissimamente producendo proiettili incendiari che il vento può trasportare per chilometri. È proprio la rapidità degli incendi a causare la maggior parte delle vittime – le immagini delle file di auto carbonizzate su una provinciale nel 2017 hanno fatto il giro del mondo.

Come spiega da anni Pedro Bingre do Amaral, professore al Politecnico di Coimbra, è all’intersezione tra la piccola proprietà non controllata e monocoltura di eucaliptus, specialmente se mal gestita, che il pericolo diventa più alto – anche perché molte foreste di eucaliptus arrivano alle porte delle contrade residenziali.

Dopo il dramma del 2017 si sono indurite le norme per i proprietari, obbligandoli a pulire le foreste e creare aree di protezione intorno a case e edifici, ma non è stata mai lanciata alcuna riflessione – e men che mai politica – sulla gestione fondiaria e sulla pianificazione della foresta. Molto poco è stato fatto, in altre parole, e gli eventi di questo settembre 2024 lo stanno a dimostrare.

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