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Pogrom dei coloni a Jit: case e auto in fiamme, un palestinese ucciso

Pogrom dei coloni a Jit: case e auto in fiamme, un palestinese uccisoAuto bruciate dai coloni nel villaggio palestinese di Jit – Epa/Alaa Badarneh

Israele/Palestina La comunità di Um Jamal lascia le proprie terre, troppi abusi. È la 19esima dal 7/10

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 17 agosto 2024

Nella notte tra giovedì e venerdì un centinaio di coloni, mascherati e armati, ha preso d’assalto il villaggio palestinese di Jit, dieci chilometri a ovest di Nablus in Cisgiordania. Il violento attacco ha portato a un morto, il 23enne Rashid Mahmoud Abdel Qader Sadda, ucciso con un colpo di pistola al petto mentre tentava di spegnere l’incendio appiccato alla sua casa, e a un ferito grave tra gli abitanti palestinesi. I coloni hanno dato fuoco ad almeno quattro abitazioni e sei auto.

L’ASSALTO è stato condannato sia da esponenti del governo di Tel Aviv, sia da Washington. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha definito l’attacco di giovedì notte un «pogrom». A Herzog ha fatto seguito la dichiarazione, tramite X, del ministro della difesa di Tel Aviv Yoav Gallant (per cui la procura della Corte penale internazionale ha chiesto il mandato d’arresto insieme a Netanyahu per crimini contro l’umanità): «Condanno fermamente qualsiasi tipo di violenza e do il mio pieno appoggio alle Idf (Israelian defence force), allo Shin Bet e alla polizia affinché affrontino la questione con severità». L’ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu dice di considerare l’attacco con «la massima severità». Dichiarazioni che servono a rassicurare l’alleato statunitense che ieri ha definito, tramite un portavoce della Casa bianca, «inaccettabili» gli attacchi dei coloni contro i civili palestinesi, riferendosi all’attacco a Jit.

A guardare bene però queste altisonanti condanne rimangono solo parole vuote e in netto contrasto con la realtà sul campo. Se i coloni non vengono mai processati né tanto meno puniti, dal 7 ottobre infatti l’occupazione israeliana della Cisgiordania, in atto da quasi sessant’anni, procede più veloce che mai e i richiami di Washington per contrastarla sembrano solo di facciata, come la richiesta di un cessate il fuoco a Gaza che va di pari passo alla continua vendita di armamenti a Tel Aviv. Qualche mese fa il ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che più di un anno fa ha acquisito la totale autorità sulla pianificazione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata, ha velocizzato il riconoscimento degli insediamenti tirati su in autonomia dai coloni e li ha incitati a prendersi ancora più terre in Cisgiordania, avvisando in contemporanea l’esecutivo di Tel Aviv che nei prossimi mesi nei Territori occupati arriveranno 500mila nuovi coloni. Nella Cisgiordania occupata, negli ultimi dieci mesi, sono stati uccisi dalle forze armate israeliane e dai coloni più di 620 palestinesi e ne sono stati feriti oltre 5mila, come riporta l’Ufficio per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha). E, come riporta l’agenzia stampa palestinese Wafa, sono più di 270 gli incendi appiccati, per la maggior parte dei coloni, a case, macchine e campi coltivati.

AI ROGHI si aggiungono le demolizioni, ordinate dall’Amministrazione civile israeliana, di più di 750 strutture con il conseguente sfollamento di più di mille palestinesi. Ed è notizia di ieri che un’altra comunità di pastori palestinesi della Valle del Giordano, Um Jamal, è stata costretta ad abbandonare la propria terra, portando così a diciannove il numero delle comunità palestinesi sfollate dal 7 ottobre, il più grande sfollamento dal 1967. Lunedì una decina di coloni ha piantato tende ed eretto caravan su una collina ad appena 150 metri da Um Jamal, creando quello che viene chiamato un «outpost», gli insediamenti considerati illegali sia dalla legge israeliana che dal diritto internazionale – e che Smotrich è in via di approvazione – e che altro non sono che il prodromo di una nuova colonia. Ogni giorno per mesi i coloni, pienamente appoggiati dall’esercito israeliano, sono scesi verso il villaggio palestinese di Um Jamal minacciando la popolazione con violenze di ogni tipo, lancio di pietre, furto di greggi, pestaggi e minacce, fino a ieri quando anche gli ultimi abitanti hanno lasciato la comunità.

PER I PIÙ di 600 palestinesi uccisi e i 5mila feriti, per le più di 700 demolizioni arbitrarie e per questa e per le altre 18 comunità, i portavoce e i profili social di ministri e presidenti sono rimasti muti.

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