«Questa non è un’anomalia del sistema, questo è il sistema. L’imprenditore appalta il più possibile il lavoro, anche nella parte caratteristica del suo business, si toglie la responsabilità delle assunzioni e risparmia estraendo reddito dai lavoratori. Così si produce una lacerazione del tessuto sociale», è stato detto durante la conferenza stampa tenuta ieri dalla Cgil. Se non è un fulmine a ciel sereno, poco ci manca per il territorio piacentino. Una delle «eccellenze» della produzione alimentare emiliana, Pizza +1 spa di Podenzano (Piacenza), azienda con 23 milioni di euro di fatturato celebrata dal «record mondiale» della pizza più lunga del mondo all’Expo di Milano, starebbe accumulando utili «sulle spalle dei lavoratori, inquadrati con il contratto delle pulizie ma impegnati nella produzione delle pizze fresche che arrivano alla grande distribuzione organizzata».

A lanciare la mobilitazione è la Cgil di Piacenza, che con Flai e Filcams ha organizzato uno sciopero con presidio di fronte ai cancelli dell’azienda piacentina per venerdì 7 ottobre. Una vertenza che promette di allargarsi a tutta la Regione, con la controllante Val Pizza srl di Bologna «in cui vigono le stesse problematiche» ha spiegato Valerio Bondi, segretario regionale Flai Cgil Emilia-Romagna, ieri a Piacenza per una conferenza stampa a cui hanno preso parte anche alcuni lavoratori dell’appalto finito al centro delle proteste.

I NUMERI. È spettato a Fiorenzo Molinari, segretario Flai Cgil Piacenza, partire dai numeri per spiegare i cortocircuiti che si palesano nella fabbrica piacentina. «Siamo di fronte a un’azienda che fattura 23 milioni di euro con soli 47 lavoratori diretti che applicano il contratto nazionale corretto, quello degli alimentaristi. Di questi – prosegue Molinari – 28 sono impiegati negli uffici. E poi ci sono due appalti: uno della cooperativa piacentina NT, che impiega 170 persone inquadrate con contratto pulizie e multiservizi, e l’altro con 10 persone che fanno davvero le pulizie. Siamo di fronte a un’azienda che si è divisa utili succosi in questi anni estraendo larga parte del profitto dai lavoratori», ha attaccato Molinari. «In questi mesi abbiamo offerto all’azienda la possibilità di affrontare un percorso graduale, ma le risposte sono state farsesche. Per inquadrare la vicenda – ha spiegato Molinari insieme a Gerta Maksuti e Marco Pascai, della Filcams Cgil di Piacenza – è utile sapere che questi lavoratori in appalto non hanno il riconoscimento economico sulla malattia e sugli infortuni e gli istituti differiti della retribuzione, abbiamo scoperto, non sono stati calcolati correttamente».

I LAVORATORI. Chi taglia la pizza, chi fa il «controllo qualità» e il corso per gli alimentaristi «Haccp» va fatto, anche se teoricamente il contratto è quello delle pulizie. Alessia lavora nello stabilimento di La Pizza+1 dal 2016: «Etichetto e taglio le pizze. Ma ho un contratto per le pulizie, prendo mille euro al mese, circa 7 euro l’ora. Ora rivoglio indietro la mia dignità». Al suo fianco c’è Sonia: «Dal 2019 mi occupo anche del controllo di qualità delle pizze, siamo noi che “declassiamo” i prodotti se c’è qualcosa che non va. Sono assurdi i momenti in cui ci chiamano e dobbiamo indossare le tute blu, abbigliamento monouso per la manipolazione degli alimenti. In tutto questo risulto un’addetta alle pulizie». Un altro lavoratore aggiunge: «Abbiamo un forte attaccamento al nostro lavoro, ma la situazione è al limite. Lo sciopero è una extrema ratio». Le differenze retributive arrivano a 500 euro al mese, in fabbrica, per chi fa la pizza. Che rischia di diventare indigesta.