Mentre in Spagna le nuove norme che limitano i contratti a termine hanno portato nel 2022 a un boom di quelli a tempo indeterminato, l’Italia va nella direzione opposta. Il governo Meloni si appresta a liberalizzare ancora una volta i contratti a tempo: via i limiti introdotti dal governo Conte 1 con il decreto Dignità.

IL GOVERNO È PRONTO A VARARE le nuove norme entro l’inizio di febbraio: via il limite di 12 mesi per i contratti a tempo senza causali, l’ipotesi è tornare a 36 mesi, come ai tempi del governo Renzi e del ministro Poletti. Con la possibilità di ulteriori 12 mesi da affidare ai contratti collettivi. Si allargheranno anche le causali per i rinnovi, che oggi sono legati sostanzialmente alla sostituzione di lavoratori e incrementi temporanei dell’attività.

«Basta considerare la flessibilità solo in chiave negativa, il contratto a termine non è di per sé una forma di precarizzazione», spiega il ministro del Lavoro Elvira Calderone, e sembra di tornare alle narrazioni dei tempi della Leopolda. Senza tenere conto del fatto che, nel 2021 (secondo i dati del rapporto Inapp), solo il 14,8% dei nuovi contratti di lavoro era a tempo indeterminato, mentre il 69,8% era a termine. Numeri che hanno spinto gli stessi autori del rapporto definire il mercato del lavoro italiano «intrappolato nella precarietà».

Senza dimenticare i ripetuti casi in cui la Corte costituzionale è già intervenuta sul Jobs Act di Renzi, per invitare il Parlamento a legiferare in modo più favorevole ai lavoratori per quanto riguarda i risarcimenti nei casi di licenziamenti senza giusta causa.

INSORGE LA CGIL. «Non condividiamo l’idea di liberalizzare i contratti a termine. Bisogna cambiare le leggi sbagliate che sono state fatte in questi anni. Basta precarietà e basta favorire assunzioni precarie», attacca Maurizio Landini. «A fronte di un abuso, la preoccupazione dovrebbe essere quella di ridurre e non aumentare le forme flessibili», concorda la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti.

D’accordo la segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese, che chiede una convocazione da parte della ministra del Lavoro «per discutere al più presto» di questi temi. Molto più cauta la cisl, che invita a «non alterare l’equilibrio che si è raggiunto dopo che il governo Draghi ha già rinviato il superamento dei 12 mesi agli accordi sindacali».

PROTESTA IL M5S, CHE AVEVA fatto del decreto Dignità una bandiera insieme al reddito di cittadinanza. «Abbiamo salari bassissimi, paghe da fame. Adesso questo governo addirittura vuole smantellare il decreto dignità.», attacca Giuseppe Conte. «Quindi avremo oltre ai voucher un precariato ancora più diffuso. Dopo l’abolizione del Rdc si sta andando verso una situazione di grande emergenza sociale e occupazionale».

NEL PD IL TEMA È OGGETTO di aspra discussione. La sinistra interna di Orlando e Provenzano è per superare il Jobs Act in tutte le sue forme, ripristinando l’articolo 18 e limitando i contratti a tempo sul modello spagnolo. Nel programma elettorale di tutto il Pd queste cose erano scritte, ma l’ala “riformista” che sostiene Bonaccini è molto più cauta. E tende e non demonizzare quella riforma che tutti loro hanno votato e sostenuto.

Sul fronte sinistro dei dem interviene Marco Sarracino, deputato trentenne: «Prosegue la strategia di attacco ai diritti dei lavoratori del governo Meloni che ha scelto la strada di una maggiore precarietà e flessibilità del lavoro». «Siamo davanti a una netta inversione di tendenza rispetto al percorso che era stato avviato con lo scorso governo che puntava ad interventi per rendere più vantaggiosi i contratti stabili. Troveranno una ferma opposizione da parte del Pd».

Tra i dem c’è chi fa notare con malizia che «il fatto che il governo delle destre voglia tornare al Jobs Act certifica che quei provvedimenti erano contro i lavoratori. Con buona pace di chi nel partito ancora li difende».

Contrari anche Sinistra e Verdi. «Il ministro del Lavoro dice che i contratti a tempo non portano precarietà. Provi a chiederlo agli oltre 3 milioni di persone che lavorano in queste condizioni», dice Giovanni Paglia. «Chieda com’è vivere con un contratto che in un caso su tre dura meno di un mese e in uno su dieci un giorno soltanto. Uno schifo indegno della Costituzione».