«La tragedia a Gaza mostra il rischio di strumentalizzazione dell’aiuto umanitario» spiega Antonio Donini, co-fondatore di United Against Inhumanity e membro di Intersos, Ong umanitaria italiana, durante il secondo Congresso umanitario organizzato da quest’ultima ieri a Roma.

Dopo ormai più di un mese di bombardamenti su Gaza, sono sempre più coloro che invocano un cessate il fuoco, un’apertura di corridoi umanitari o l’assistenza ai civili con beni di prima necessità. E questo, perché mancavano. Il Cogat israeliano vanta ora di aver fatto entrare 665 furgoni da Rafah, in un video del Ministero della Difesa si mostrano dei bagagliai stracolmi, molti fotogrammi sulle casse d’acqua. Sembrerebbe un passo in avanti, sulla scia delle quattro ore di pausa dai bombardamenti, ma 665 furgoni dal 7 ottobre a oggi sono 19 carichi al giorno. Considerando che prima dell’attacco di Hamas ne entravano 200 al giorno, la mossa caritatevole di Tel Aviv cela un’ombra propagandistica. «Come sempre, facilitiamo l’arrivo di aiuti – viene sottolineato – con oltre un milione di litri d’acqua». Ma di fronte al controllo totale da parte di Tel Aviv delle tre sole condutture presenti a Gaza, che ha portato le persone a lavarsi nelle acque del Mediterraneo dove secondo il Norwegian Refugee Council sono stati scaricati 130 mila metri cubi di acque da scolo tossiche, delle bottigliette appaiono inutili. Allo stesso modo della manciata di ore di pausa «umanitaria».

«Qualsiasi pausa nel conflitto per scopi umanitari deve essere coordinata con l’Onu perché sia fatta in maniera sicura e sia veramente efficace» ha sottolineato infatti Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale dell’Onu, nel tentativo di riportare nelle proprie mani la gestione degli aiuti. «I dati sono una valuta di potere – spiega Larissa Fast, professoressa dell’Istituto di studi umanitari e di risposta al conflitto dell’Università di Manchester – perché chi li produce controlla la narrativa globale e da lì poi si gestiscono anche gli aiuti».

La moltiplicazione di conflitti a macchia d’olio sta riscrivendo i ruoli degli attori coinvolti nello scacchiere geopolitico internazionale. Le organizzazioni umanitarie fanno sempre più politica, e la politica si occupa sempre più della vita delle persone, nel bene e nel male. «Da qui emerge la necessità di un sistema multipolare. Abbiamo anche bisogno di chiarezza nel nostro mandato, che si fonda sull’imparzialità» spiega al manifesto Martin Rosselot, direttore dei programmi di Intersos in Medio Oriente, ricordando che in 25 anni si è passati da 1 bilione di dollari per spese umanitarie ai 50 di oggi. «Il sistema umanitario non risolve le crisi, ma finché continuano è nostro compito cercare di alleviare la sofferenza delle persone senza dimenticare la loro autonomia – spiega al manifesto Konstantinos Moschchoritis, direttore di Intersos – la politica si deve occupare di ciò che sta alla radice del conflitto».